Tre tigri contro tre tigri

Domatore: Aldo Cazzullo. Lunedì 14 gennaio, si festeggiano i primi dieci anni di vita dell’Auditorium. Sala Petrassi strapiena e sul palco (forse dovremmo dire nell’arena), a destra i tre sindaci: Rutelli, Veltroni e Alemanno. A sinistra i tre viceré del Parco della Musica: Regina, Fuortes e Cagli. Il domatore (in mezzo) dà garbatamente la parola prima ai burocrati, Regina e Fuortes, i quali diligentemente, cautamente nei confronti dei tre sindaci (ci è parso soprattutto di quello in carica) e, come richiede il ruolo, anche un po’ pedantemente, elencano tutto quello di straordinario che si è fatto per creare l’Auditorium; e quello di ordinario che si continua a fare per mantenerne l’eccellenza.

 

Ed è davvero moltissimo: in questi dieci anni milioni di spettatori romani, che le hanno molto pesanti, hanno alzato le chiappe per arrivare fin lì. Migliaia di spettacoli sono andati in scena, decine di migliaia di artisti si sono esibiti davanti a sale esaurite. E, stupore per Roma e l’Italia, senza andare in passivo con i conti.

 

Dopo le due relazioni, diciamo così tecniche, con nostro diletto Bruno Cagli, Sovrintendente di Santa Cecilia, scatena tutto il suo notevole brio di intrattenitore, ripercorre la storia plurisecolare dell’Accademia, e poi ci mitraglia con una raffica di aneddoti. Compreso il delitto contro l’acustica commesso con la distruzione della vecchia sede, l’Augusteo, imposta dalle voglie fasciste di ricuperare al nuovo impero il Mausoleo che ci stava sotto. Il quale però, una volta privato della capsula è rimasto in bella vista come, parole di Cagli, un dente cariato.

 

Pur essendo d’accordo sulla gratuità del crimine, non lo siamo sull’estetica del risultato. Permetteteci di peccare di nuovo di autocitazione e di riproporre qualche riga di un nostro vecchio uovo avvelenato del 10 novembre 2011.

 

“L’area del Mausoleo di Augusto è una parte molto emozionante di Roma. Seguiteci. Arriviamo da Via della Croce, cuore della città barocca: edifici eleganti, di quei bei colori caldi che riflettono così bene il sole. Attraversiamo Via del Corso, poi Largo dei Lombardi. Ecco una grande apertura, che ci invita in un piazzale quadrato, tre lati di travertino, puro stile fascista anni ’40, il quarto, vetro e cemento moderno, perfettamente intonato al resto. E’ l’edificio (non si capisce perché così acidamente contestato) che custodisce l’Ara Pacis. Non dimentichiamo che siamo proprio nel cuore della città, e proprio da questo cuore, senza preavviso, si sbuca in una cartolina della campagna romana. Perché al centro del quadrato littorio in cui siamo penetrati venendo dalle strade barocche troviamo il tamburo del Mausoleo, un rudere romano di mattoni coronato da un anello di terra piantata a cipressi. Potremmo essere dalle parti dell’Appia Antica. Una sensazione davvero sorprendente, e tutto in cinquanta metri. Solo a Roma succede”.

 

Torniamo a oggi.

 

Tocca a Rutelli, bel signore, voce profonda, parlata tranquilla e sicura. Ineccepibile e compiaciuto piacione (occhioni maliardi e mascella volitiva), racconta gli ostacoli che amici e nemici hanno seminato sul percorso del progetto, anche senza un tornaconto personale: solo per il gusto di dire di no a tutto. Seguito da Veltroni, meno bello ma più intenso, e forse proprio per questo facilitato nel contatto con la gente. Anche lui con la storia travagliata, ma alla fine vittoriosa, dell’istituzione.

 

Tutti e due ottimi oratori, arrampicati sugli specchi per non infierire troppo sul terzo. Il quale, invece di prendere la parola, se fosse stato furbo l’avrebbe lasciata cadere immediatamente. Sillabe affastellate, articolazione confusa, oratoria scarsa e il tono un po’ stizzoso del terzo moschettiere, il meno alto, il meno bello, il meno simpatico dei tre.

 

Naturalmente che ti fa il moderatore Cazzullo? Quello che, sotto i baffi, ogni moderatore che si rispetti dovrebbe fare: aizza. Proponendo ai tre sindaci di spiattellare, ognuno sugli altri due, il bonus e il malus. Il gatto e la volpe non si graffiano fra di loro, e garbatamente svicolano per non dire niente di troppo perfido sul terzo, che a quel punto sembra proprio un pollo sulla graticola.

 

E infatti, quando viene il suo turno, dopo aver accusato Veltroni di aver fatto troppe pentole e troppo pochi coperchi, dà dello spocchioso a Rutelli che non la prende per niente bene. Nasce una gazzarrina sull’Ara Pacis (la cosa peggiore che ha fatto Alemanno, è stato proporre le modifiche all’Ara Pacis; la cosa migliore, è non essere riuscito a realizzarle), con Veltroni che azzarda il ruolo del paciere, Cazzullo che sghignazza per conto suo, e Rutelli che, dopo aver ribadito che non di spocchia si trattava ma di educata ironia, allontana il microfono e spara uno di quei bisbigli che arrivano alle ultime file, indirizzato ad Alemanno: ”Hai detto ‘na cazzata”. Il poveretto, sotto tiro, replica: “Eccola, la tua solita arietta!” E qui dobbiamo a malincuore dargli ragione, perché, magari proprio spocchia no, ma il bel Rutelli, ogni tanto quell’arietta di sufficienza ce l’ha davvero.

 

Naturalmente tutto finisce a volemose bene. Strette di mano, sorrisi e abbracci; e noi ce ne torniamo a casa con esattamente tre chili e settecento grammi di interessanti, sontuose pubblicazioni sulla benemerita istituzione.

 

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