N° 545 - Fred

E’ una fantastica giornata di ottobre. Aria balsamica e sole brillante.

 

Il centro di Roma è un vespaio di turisti, però basta spostarsi a Prati che tutto si tranquillizza; l’aria è ancora balsamica e puzza meno di benzina, la gente è più rilassata (il mestiere di turista è duro, specialmente se devi vedere tutto in mezza giornata) e soprattutto al Magic Maxxi c’è un’interessante piccola mostra, anzi, la commemorazione di un personaggio, un duro ingenuo del nostro passato. 

Prima di parlare di Fred, perché il Maxxi è Magic? Intanto perché è il giocattolo che Roma ha commissionato a una fata-architetta famosa e geniale (e le è riuscito così bene che uno fa finta di andarci a visitare le mostre, ma in realtà l’opera d’arte è l’edificio).

Poi perché delle magie le fa davvero, per esempio con quel finestrone sporgente che si intravede nella prima immagine con l’albero blu.

 

Noi lo abbiamo fotografato anche in una giornata d’inverno, quando nel grigio freddo dell’aria e sul grigio ancora più freddo del vetro apparivano riflesse le modeste case di abitazione fine ‘800 lì di fronte, trasformate dall’oro del sole al tramonto in castelli di fiaba. Un miraggio.

Il duro commemorato è, ovvio, Ferdinando Fred Buscaglione, che ci ha lasciati ormai da più di sessant’anni.

Naturalmente alla mostra il materiale non è tanto: qualche foto, copertine di dischi, manifesti cinematografici e in sottofondo le sue “Che bambola!”, “Eri piccola”, ma è sufficiente a farci rivivere il prima, quando le canzoni erano tutte cuori infranti e mamme preoccupate, i musicisti dei complessi tutti vestiti uguali, in giacca, papillon e possibilmente scarpe bianche, facce anonime e capelli giusti; e il dopo, quando finalmente qualcuno, lui, Fred, pensò di inventarsi un personaggio, naturalmente non ancora proprio maledetto (c’era da rispettare le abitudini e i desideri del pubblico e le paure dei discografici) ma comunque un po’ spaccone, col baffo assassino e la (finta) frequentazione della malavita.

 

Ma con dei pezzi intelligenti, spiritosi, scritti con Chiosso, che erano ognuno uno sketch musicato, con un tema in apertura, uno svolgimento e un finale: tutto nei due minuti e mezzo obbligati per una facciata di 45 giri.

Grande successo, come dicevamo; e finalmente basta serate a due lire, ma soldi veri, con i quali cosa ci si compra, da ex orchestrale povero, verso la fine degli anni ’50? Ma una macchinona americana, naturalmente, una Ford Thunderbird, per fargliela vedere ai colleghi che vanno ancora in giro in Topolino.

Però stavolta il finale della storia non fu uno scherzo, come le sue canzoni criminali.

Saranno state le quattro di una notte di febbraio 1960; tornava all’albergo dopo una serata, probabilmente alcolica, certo di stanchezza e confusione: bum! contro un camion carico di pietre.

 

Non aveva quarant’anni.

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