Bernini sacro erotico

 

Tutti abbiamo dentro delle pressioni emozionali che spingono per essere liberate. Se siamo artisti ne caviamo qualcosa di interessante, se non lo siamo, no. Queste tensioni sono evidentemente ancorate alle componenti fondamentali dell’essere umano: fame, erotismo, aggressività, potere, seduzione, ecc.

Molte sono le testimonianze artistiche di battaglie, incoronazioni, banchetti, (aggressività, potere, fame) tutte creazioni dell’antichità classica, poi accreditate dal successivo padrone, e naturalmente modificate per l’uso. Per cui la battaglia diventa il trionfo di Cristo, l’incoronazione si trasforma nella salita al cielo dei martiri, e il banchetto si eleva in eucaristia.

C’è invece un‘altra rappresentazione che viene dalla stessa eredità, ma non ha passato l’esame, perché è stata declassata da concetto estetico (esaltazione del bello armonioso privo di colpa, proprio perché bello anche se erotico) a peccato vero e proprio, così giudicato dalla nuova mentalità sessuofobica che la associava all’idea dell’erotismo colpevole: il nudo.

Pur essendo sempre rimasto l’interesse principale degli artisti, il nudo ha subito, più degli altri temi, censure e persecuzioni (non dimentichiamo i mutandoni fatti dipingere sulle figure del Giudizio Universale di Michelangelo da papa Paolo III a Daniele da Volterra, che da quel momento è conosciuto solo come il Braghettone, anche se per conto suo era un ottimo pittore).

Questo nuovo padrone succeduto a quello pagano, e ormai trionfante, era la chiesa cattolica, unica istituzione culturale ed economica, oltre che religiosa; quindi unico committente per gli artisti.

I quali potevano rappresentare Cristi, madonne, angeli e santi, anche nudi, ma sempre di una nudità o dolorosa o innocente. Cristo crocefisso, i martiri torturati, gli angeli solo in forma di cherubini, con quei culettoni paffuti e i pisellini minuscoli; oppure le madonne col seno di fuori, purché in fase di allattamento.

A un certo punto gli artisti, specialmente quelli barocchi, e soprattutto il loro caposcuola, per soddisfare l’esigenza di raccontare l’erotismo decisero di cercarsi un alibi puntando su una delle manifestazioni di santità più ammirate dai fedeli dell’epoca: l’estasi. La santa digiunava, si fustigava, si sottoponeva a ogni genere di sevizie, poi sfinita, immaginiamo, andava in estasi. Ecco due righe dall’autobiografia di Santa Teresa d’Avila che ne racconta una delle sue: “In un'estasi mi apparve un angelo tangibile nella sua costituzione carnale e era bellissimo; io vedevo nella mano di questo angelo un dardo lungo; esso era d'oro e portava all'estremità una punta di fuoco. L'angelo mi penetrò con il dardo fino alle viscere e quando lo ritirò mi lasciò tutta bruciata d’amore per Dio. Nostro Signore, il mio sposo, mi procurava tali eccessi di piacere da impormi di non aggiungere altro oltre che a dire che i miei sensi ne erano rapiti” (dal “Libro della mia vita”).

Una delle sculture più famose di Gian Lorenzo Bernini è proprio l’Estasi di Santa Teresa che descrive quell’esperienza. Si trova in una chiesa di Roma (Santa Maria della Vittoria), barocchissima, addirittura indigesta per l’eccesso di marmi, stucchi e pitture, ed è, servita dalla suprema poetica maestria nel trattamento del marmo, dalla collocazione sapiente sull’altare, dalla illuminazione naturale studiata da quel grande scenografo che Bernini era, proprio la rappresentazione erotica sacra e sublimata dell’abbandono della donna alla possessione di questo dardo. D’oro, d’accordo; con la punta di fuoco e per di più in mano a un angelo, certo. Però decisamente allusivo, ci pare.

Non contento, ne fece un’altra, di estasi: quella della beata Lodovica Albertoni, nella chiesa di San Francesco a Ripa, sempre a Roma. Un’estasi più sobria, nel senso che manca l’angelo con il dardo, ma la beata, anche lei scolpita con indescrivibile morbidezza se ne sta sdraiata contorcendosi un bel po’ sul giaciglio. E’ chiaro che questo tipo di rappresentazione, mimetizzata sotto il velo della mistica dedizione, faceva venire qualche pensierino a chi la guardava.

Perché, chissà come mai, almeno a giudicare dalla documentazione che ci è arrivata, in estasi ci andavano solo le sante (femmine), mentre gli artisti incaricati del racconto erano tutti maschi.

Si trattava certo di un erotismo sacro, purissimo e soprattutto presentato come momento edificante ad uso dei seminaristi (e probabilmente di qualche cardinale porcello, magari lo stesso committente). C’è chi dice che il nostro Bernini fosse del tutto privo di malizia, solo preso dal suo innocente desiderio di esaltare la fede della santa. Non lo sappiamo. Certo sarebbe del tutto fuori luogo fare un parallelo con l’erotismo di oggi, anche soft, ma sempre esplicito. Rimane il fatto che si tratta di un’arte realizzata da uomini per altri uomini, usando immagini di donne. Che finge di rappresentare un’idea lecita mentre forse in realtà ne racconta un’altra.

Insomma, analizzare il frullato nascosto in certe ricette artistiche richiederebbe molto più di una pagina, e soprattutto una scienza che non possediamo. Per nostra fortuna il frutto di queste turbe è stato in molti casi una serie di capolavori. Ringraziamo la natura umana e lasciamo ai nostri occhi il piacere di apprezzarli.

 

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