Ecoproposta per biodementi

40.000 a.C. L’uomo primitivo comincia ad accorgersi che a stare insieme in un posto vagamente protetto (magari una caverna un po’ più in alto) si rischia meno la pelle e ci si diverte di più.

Da questa intuizione comincia il cammino dell’umanità, prima verso l’accampamento di cacciatori, poi il villaggio su palafitte, poi il borgo, poi la città cinta di mura. Che è ancora un luogo impestato di immondizia, coi pitali svuotati dalle finestre e porci e galline a grufolare nel fango, ma è pur sempre un posto più sicuro della capanna nei boschi.

Finalmente arriva l’energia, e cambia tutto. Ci sono le fogne, c’è l’acqua corrente, l’elettricità, i trasporti, le comunicazioni, e siamo al traguardo: vivere bene insieme. Ci si incontra quando si vuole, ed è facile perché si abita vicini. Se non ci si incontra materialmente si può comunicare in tanti modi. Tutto è a portata di mano, il teatro, il supermercato, la farmacia, il bar, il cappuccino e il giornale.

Ma un altro è il vero, immenso dono che la grande città fa ai suoi abitanti: l’anonimato. Se non vuoi incontrare nessuno, la città ti regala, per la prima volta nella storia, la possibilità di sparire e non essere controllato da cento occhi e orecchie, come invece inevitabilmente e tormentosamente accade nel villaggio. Naturalmente ci sono i lati negativi: inquinamento, tensione (però noi siamo sicuri che una stalla piena di mosche inquina più di un autobus, e che  un contadino sperimenta più tensione per una grandinata, che un cittadino per la fila all’ufficio postale), ma sono niente in confronto alla conquista globale alla quale siamo felicemente arrivati. (Con divertimento leggevamo tempo fa un confronto fra la Parigi di oggi intasata da circa un milione di veicoli, e la Parigi dell’ottocento che automobili non ne aveva, ma fra privati e pubblici circolavano per le sue strade almeno ventimila cavalli, ognuno dei quali provvedeva a lasciare sul selciato come minimo un paio di chili di roba al giorno. Quaranta tonnellate di letame ogni ventiquattrore. Con relativi tafani. Peggio oggi o ieri?). 

 

A questo punto della storia dell’umanità che succede? Succede che spunta fuori qualcuno che in nome dell’ecologia ci suggerisce un bel passo indietro. Vi presentiamo uno dei tanti dissennati progetti del genere che ci sono capitati sotto gli occhi.

Si tratta dell’Ecovillaggio Solare, organizzato in Umbria da Jacopo Fo, figlio di Dario. Una proposta di coabitazione in mezzo alla natura, all’insegna del risparmio energetico, per un ristretto numero di fortunati (masochisti, per noi). C’è un sito nel quale è descritta l’iniziativa con tutti i suoi pregi. Di difetti non si parla, ovvio.

Vediamoli. Naturalmente c’è l’aria balsamica dei boschi e il cinguettio degli uccelli (che secondo noi si svegliano un po’ troppo presto la mattina), la volpe che ti passa fra i piedi, e il piacere di usare a turno la lavanderia del villaggio, così si familiarizza coi compaesani. Piccolo ma enfatizzato dettaglio meteorologico: la nebbia, quando c’è, è tanto riguardosa da spandersi più in basso del villaggio, così dalle casette la si può vedere dall’alto “come nelle stampe giapponesi”.

Poi arriva il meglio. Presentata come pregio supremo è la distanza dalla civiltà: 12 chilometri dal più vicino bar, farmacia, edicola; 30 km di percorso, ma senza un solo semaforo, fino a Umbertide: ospedale o cinema; 45 km a Perugia, università e altri confort, con comoda superstrada a quattro corsie.

Va bene, noi saremo anche fissati col giornale e il cappuccino, ma dodici chilometri per andarci a sedere al bar ci sembrano davvero troppi. 

In nome dell’autonomia produttiva i nuovi ecopaesani hanno inoltre in dotazione una delle peggiori maledizioni dell’ecofilosofia new age: l’orto! Una struttura che richiede un continuo assiduo lavoro per poi spararti addosso in una sola settimana di luglio trenta chili di fagiolini, e sette giorni dopo cinquanta di pomodori; il che ti costringe a fare le conserve e a metterle in barattoli, i quali, bolliti artigianalmente per sterilizzarli, esplodono tutti insieme in cantina una notte a dicembre. In compenso è possibile piantare alberi da frutto, che forniranno, visto che qui l’agricoltura è bio, belle melette col baco.

Le costruzioni sono carinissime e con pochissimo consumo di energia. A disposizione anche le “Case degli gnomi”, 46 metri quadri nel bosco, e, volendo, anche case di paglia intonacata, oppure di terra cruda, descritte sul sito come abitazioni ad altissimo confort e ottima efficienza energetica. Testuale. Insomma, le prospettive per i potenziali nuovi ecoabitanti sono queste: siate pronti ad arrabattarvi lietamente e senza sosta in casa e fuori, e soprattutto state sicuri che non avrete il tempo di far andare il cervello perché ci sarà sempre qualcosa da fare con le mani.

Che poi queste idilliache descrizioni del vivere in mezzo alla natura, a parte la ingenua esaltazione di una rude semplicità che è pura teoria, sono certamente accurate se riferite a un preciso giorno di fine maggio, con un bel sole limpido, una brezza leggera e neanche una zanzara nei dintorni. Ma non vorremmo essere nello stesso posto in un piovoso pomeriggio di novembre, con l’ora legale appena rientrata, il fango alle caviglie e quella simpatica umidità così gradita alle nostre articolazioni (e il cappuccino col giornale sempre a dodici chilometri).

 

Noi di sicuro no, ma loro ci crederanno davvero?

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