L'ennesima sigaretta

L’ennesima sigaretta. Il freddo fuori stagione (siamo al 16 maggio) non ci ha impedito di fare una passeggiata fino alla Basilica di Massenzio per la prima serata del Festival Internazionale di “Roma Letterature – Semplice/complesso”. E invece avremmo fatto bene a restarcene a casa al calduccio. Il posto, si sa, è eccezionalmente bello e anche bene illuminato. La suggestione delle immense volte a cassettoni è irresistibile. Una musica di sottofondo un po’ alla Goblin, ma più iettatoria, precede la lettura piuttosto malriuscita di un testo poetico da parte di Ambra Angiolini. Poi appare Alessandro Piperno, che, pur essendo uno scrittore quarantenne di grande successo, come abbiamo letto nel catalogo del festival ben fatto e lussuoso, si presenta come un malconcio bidello in pensione. Ma come, sali su un palco per quella che è a tutti gli effetti una cerimonia pubblica, e non ti metti almeno uno straccio di vestito e una cravatta? No. Bragoni di velluto sformati e casacca scolorita. In più, nel suo caso, e questo non è certo colpa sua, il fisico non lo aiuta. Allora è l’uomo intelligente che dovrebbe aiutare il proprio fisico. Comunque, a parte il look, ha letto un suo testo divertente, ben costruito e ben scritto.

Segue una collega che legge se stessa, Silvia Avallone, e con il suo racconto ci affonda in una storiella fra il trasgressivo e il cronachistico, in realtà un cesto così pieno di luoghi comuni da stupire, proprio perché confezionato da una presunta professionista. Da questo contenitore abbiamo pescato la banalità che usiamo per il titolo. Uno dei personaggi a un certo punto del racconto si accende “l’ennesima sigaretta”! (serio, intendiamoci, non ironico). Non la leggevamo dai tempi di Yanez. Ve lo ricordate il portoghese di Salgari?

Seconda lettura insignificante di Ambra; strano, perché è brava. Poi ad accompagnare dal vivo al pianoforte la proiezione di certi suoi video noiosissimi farciti di sequenzine ripetute e altre furbizie da cinefilo si presenta nientedimeno che il musicista minimalista Michael Nyman, autore, come sappiamo, di una quantità di colonne sonore inglesi e australiane. Si piazza al piano e contribuisce ad accentuare il disagio del pubblico, già prostrato dalla temperatura in calo, con una serie di brani forse minimalisti, certo molto basici e soprattutto noiosi. Perché l’idea di sottrarre tutti gli ornamenti dalla struttura costruttiva della musica per arrivare al nocciolo essenziale può anche essere giusta, ma a un certo punto bisogna sapersi fermare, sennò è come il risotto. Se gli levi il brodo, il burro, il parmigiano, il pepe, rimane il riso bollito, che è comunque commestibile, e ci campano svariati milioni di persone nel mondo, ma il sapore ce lo scordiamo.

Non sappiamo come è finita la serata. Il freddo e la noia hanno avuto la meglio e ci siamo uniti a quello che, cominciato come uno sgattaiolare via di pochi coraggiosi, è poi diventato un esodo biblico di tutto il pubblico.

 

Valorizzazione del patrimonio culturale. E’ il titolo dell’incontro avvenuto il giorno dopo la nostra fuga da Massenzio, cioè il 17, all’auditorium dell’Ara Pacis. Per la nostra esperienza, un evento del genere è spesso una tragedia di noia. Invece l’accorta organizzazione dell’amico Stefano Micocci e la brillante prestazione del moderatore non moderato Philippe Daverio hanno trasformato la faccenda in un frizzante pomeriggio intellettual-spettacolare. Che vi andiamo a raccontare. L’auditorium è un ambiente di estrema sobrietà, tutto in legno chiaro e intonaco bianco. Non grande, con una pedana per i relatori. Di solito lì sopra ci sono tante sedie in fila dietro un lungo tavolo con gli obbligatori cartoncini recanti nomi e cognomi dei partecipanti. Stavolta no. Un podio e due tavolini che richiamano il legno delle pareti, e tre poltroncine di pelle chiara. Non una scritta o un logo. Sui tavolini pochi bicchieri di vetro. Sul pavimento bottiglie di minerale seminascoste dietro le gambe dei tavolini. Semplice, elegante e intelligente. Come tutto quello che è seguito. Presentazione di Ruberti, di Zètema, seguita da un chiaro e come sempre energetico intervento della presidente Polverini, a cui si aggancia un accorato appello dell’assessore alle politiche culturali D’Elia che ci fa sapere che l’Italia è l’unico paese europeo a tagliare su scuola e cultura.

Primo dibattito sulle industrie creative introdotto e condotto sornionamente ma non senza frecciate al ministro Ornaghi da Walter Santagata che guida Mario Resca, direttore per la valorizzazione del patrimonio culturale, il quale tende, probabilmente con ragione, al catastrofico; e Santo Versace, un po’ troppo stizzoso, e mal servito da una voce afona e una dizione sdrucciolevole. Conclusione: le cose non vanno.

Passiamo al piatto forte: dibattito sulle prospettive del patrimonio e delle industrie creative. Un protagonista: Daverio. Due comprimari: il ministro Ornaghi e Francesco Rutelli. Brillantissima introduzione di Daverio che procede fra paradossi e iperboli scandendo bene ogni parola e qualunque cosa dice la fa interessante e divertente.

Sulle tre poltroncine abbiamo da sinistra il ministro arcigno, al centro l’intellettuale estroso, e a destra il bel guaglione della politica. Il primo parla in burocratese poco espressivo e spesso fumoso, il secondo, lo sappiamo, cita in tutte le lingue con pronuncia perfetta e ridacchia da sopra il papillon, il terzo parla moderno, spesso per slogan, e fa gli occhioni. Inutile entrare nel merito, sarebbe troppo lungo. La constatazione è che tutto va male perché mancano i soldi, manca l’attenzione, manca un’elite intellettuale e politica in grado di prendere le decisioni giuste. Mentre dicono questo, due dei tre sbirciano verso il ministro dei beni culturale. Che sia tutta colpa sua?

Riconosciuto a Daverio il primato della brillantezza, ci corre l’obbligo di riferire due felici battute di Rutelli. Apre rallegrandosi che l’incontro si è potuto tenere proprio lì, nella teca dell’Ara Pacis, solo perché il sindaco Alemanno non ha ancora fatto in tempo a demolirla (risate). E chiude riferendo che ogni anno quattro milioni di turisti visitano Pompei, e altri quattro milioni di turisti visitano Pompei, ma non lo sanno, perché i primi vanno agli scavi, gli altri al santuario. Non sarebbe male, aggiunge, se riuscissimo a farli incontrare e farli diventare otto.

 

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