Va, vecchio John!

La rassegna della Filarmonica Romana si chiama “I giardini di luglio”, e lo slogan del titolo, lanciato naturalmente a John Cage, è un po’ la bandiera anticonformista di tutta la faccenda (con sconfinamenti nel bizzarro e nell’esotico, e anche nel temibile, di cui parleremo). Diamo un’occhiata al libretto, che merita, perché pieno di spunti di ironia, qualche volta perfino involontaria, ci pare (se invece è voluta, tanto di cappello, ammesso che i serpenti lo portino). Il 25 giugno gli spettacoli iniziano alle 16.93 (ora di Cage), oppure alle 20.105 (anche) e uno dei concerti si intitola “Open the Cage” (Apri la gabbia). Il 26, a fine spettacolo ci offrono un drink Cage creato con la combinazione randomizzata di 46 liquidi diversi. Il 6 luglio proiettano il film “Le vent des amoureux”, girato con la tecnica helivision, inventata dal regista Albert Lamorisse per riprese dall’elicottero. “Proprio mentre effettuava questo tipo di ripresa – testuale dal libretto – Lamorisse è deceduto in un incidente di elicottero”. Forse il sistema aveva ancora bisogno di rodaggio e lui doveva andarci un po’ più cauto?

L’esotico si affaccia il 4 luglio in una giornata dedicata all’Armenia con un buffet tipico. Col bizzarro abbiamo a che fare il 3, perché ci propongono un signore austriaco che suona Mozart allo scacciapensieri, e l’Holstuonarmusicbigbandclub (?). Temibile, e la eviteremo, è la giornata norvegese, il 2, dedicata (oltre che a una cena scandinava, forse non proprio indicata per le temperature di questo periodo) a lieder per soprano, mezzosoprano e pianoforte. Il lied, specialmente quello nordeuropeo, è un fatto che a noi provoca letargia, imbarazzo per la inevitabile pesantezza quando invece vuole essere umoristico, e pena per la povertà di colore della combinazione voce-pianoforte. Opinione personale e contestabile, naturalmente.

Il posto è una meraviglia. Un giardino con allori che sembrano baobab, un asciutto profumo di estate, e il vantaggio di essere appena fuori porta: quattro minuti e mezzo a piedi da Piazza del Popolo. Alle 21.45 (ora normale) del 26 giugno: “Spazio Curvo”, musica e strumenti inventati da Michelangelo Lupone. Più che un’esecuzione la definiremmo un’istallazione. Tre immensi tamburi microfonati piazzati sul palco e illuminati di colori che cambiano con i suoni; percossi o accarezzati da Philippe Spiesser, con grandi gesti pittoreschi, intercalando le pelli con tromba, campanaccio e varie sonagliere.

All’inizio la suggestione è assoluta; quello che esce dai tre pentoloni è inaspettato e bello, poi comincia ad arrivare una qualche assuefazione, che a un certo punto tende a trasformarsi in “basta!”. E’ che non c’è un disegno ritmico, dei ritorni, qualcosa che uno riesca a seguire come si segue una melodia, e allora la musica, o meglio il suono perde la presa sull’ascoltatore. Come mai? Probabilmente perché questa suggestione sonora è solo il condimento, e manca il piatto base, il racconto. Ci sono venuti in mente, mentre ascoltavamo Spiesser, sempre più insofferenti man mano che scorrevano i 29 minuti del brano, i Tamburi di Kotò, quel gruppo giapponese (quasi una fratellanza mistica) di decine di percussioni di ogni dimensione, capaci di tramortire il pubblico per serate intere. Loro il discorso lo fanno e, trattandosi di tamburi, il linguaggio non può che essere ritmico. Qui alla Filarmonica ci è sembrato che Lupone al discorso non ci avesse pensato proprio. Da cui, secondo noi, la perdita di tensione e di attenzione.

 

Cambio scena! Mondanità e sangue blu. Capitiamo la sera del 27 alla consegna del Premio Via Condotti 2012. Palazzo Torlonia a Bocca di Leone, una meraviglia (qui a Roma, dovunque si capita è una meraviglia), ottimo cocktail; raramente visto in contemporanea un così alto numero di nobili chiappe adagiate sulle sedie nel giardino. Cicaleccio di principi e politici, di commercianti e gente di spettacolo. Conduzione very casual (non diremo casereccia come sarebbe più giusto, per rispetto alla regale ambientazione). Interventi spesso zoppicanti, puntualmente tamponati con garbo e presenza di spirito da Gianni Letta, un misto tra Paolo Limiti e Mike Buongiorno, sempre sul palco, pronto e generoso nelle emergenze. Filmato, dolorosamente lungo, per raccontare la carriera del premiato numero uno, Dante Ferretti; oltretutto inquinato da un difetto del lettore DVD che ogni tot salta fastidiosamente diversi fotogrammi. Che diamine, non siamo mica in Germania dove tutto funziona perfettamente. Eh eh! (*)

Poi toccherebbe a Mariangela Melato, assente per malattia e sostituita da Arbore; e finalmente, Cocciante. Il quale, uomo di scena fino in fondo, prima finge, ammiccando, di stupirsi perché proprio lì accanto a lui c’è un pianoforte che, guarda un po’, ha già i microfoni aperti, poi cerca di impadronirsi dello show per dargli un passo professionale. Difficile, molto difficile, con gente che vaga e si urta sul palco e l’astuccio del premio che passa di mano in mano, senza mai arrivare a quella giusta, la sua. Finalmente caccia tutti, canta benissimo un paio di pezzi, e poi (anche qui umorismo involontario?) conclude la serata, mentre le cariatidi del pubblico si accalcano zoppicando verso l’uscita, con una sua canzone che fa: “Morire con la voglia di vivere…”

 

(*) Scritto all’indomani della partita Italia - Germania.

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