Sanremo 2013, il diario

MARTEDI’

 

Dunque: le facce quasi spaventate dei coristi di Verdi, e più tardi quelle terrorizzate dei coristi dell’Armata Rossa, anche perché, per loro, una stonatura e il viaggio di ritorno diventa probabilmente un nonstop Sanremo-Siberia.

Gli occhioni sgranati di Mengoni, subito seguiti da quelli di gazzella di Marco Alemanno, con l’inevitabile applauso al fu Lucio Dalla, che fa il patetico paio con il “Ciao Mimmo!” strappacuore di Cotugno.

Gualazzi coraggiosamente offre il proprio cognome alle rime minacciate poco prima dalla Littizzetto, discola per contratto. Che quella rima non l’ha ancora usata, ma di trombare ha già parlato, come della cacca dei cavalli del suo cocchio.

Ci siamo sentiti molto solidali con il povero Crozza, il quale, malgrado tutta la sua esperienza, a un certo punto è stato colpito dalla salivazione azzerata spesso evocata da Fantozzi, mentre i rompiscatole dal pubblico lo importunavano. Bravo Fazio con il suo bonario ma efficace intervento.

Maria Nazionale ci ha portati dritti dritti alla festa del boss, vibrato napoletano, abito rosso ed espressioni di intenso patetismo comprese. Niente di male: la canzone napoletana è anche così.

E per finire la malinconica, e soprattutto noiosa esibizione di quei due tristissimi signori venuti ad annunciare al mondo, attraverso dei cartelli, che per sposarsi dovevano andare fino a New York. Va bene la difesa dei diritti gay, ma, visto che tutta questa faccenda, troppo lunga, e con l’aggravante di un pianoforte moscissimo in sottofondo, si è svolta in scena, tanto valeva lasciarglielo dare lo sbandierato e poi rientrato bacio coniugale. Anzi, a noi non sarebbe dispiaciuto vederli fornicare sul palcoscenico dell’Ariston. Un po’ di horror, no?

 

MERCOLEDI’

 

Guardando questa seconda puntata siamo arrivati a una ponderata conclusione: la vera protagonista del Festival è la scala. Quella meravigliosa scala nera, giù per la quale scendono le belle ragazze e gli ospiti; che poi si scompone: i gradini si snodano a destra e a manca e si divincolano in alto. E il tutto diventa una grande mascella di squalo dalla quale vengono sputati i concorrenti. Una bella macchina e una bellissima scenografia.

Apre Beppe Fiorello, che è un bravo attore, e canta pure bene, ma esagera con una troppo lunga serie di cover di Modugno, con addosso la giacca di Mimmo, che poi restituisce insieme a una lacrimuccia alla vedova. E’ chiaramente un traino alla fiction in programmazione a giorni.

La Littizzetto è sempre discola, ma più simpatica e scorrevole di ieri accanto a un Fazio sempre uguale, che le fa da camomilla. La coppia perfetta.

I lettori più anziani ricorderanno i compagni dei giochi in campagna: conigli e gatti d’angora, riconoscibili per gli occhi rosa. Cristicchi, spesso inquadrato in primissimi piani con due occhi proprio così, ha stonato e sfiatato in un pezzo noiosissimo.

Stesso tipo di emozione regalataci da una signora molto più piacente ed elegante, venuta subito dopo a bisbigliare in francese un brano di sconcertante sciocchezza, aggravato da un accompagnamento alla chitarra tanto minimalista da risultare inesistente. Una certa Bruni Carla in Sarkozy.

Ciliegina gay con la canzone (ok) di Renzo Rubino.

Bellissima voce e orribile taglio di capelli dell’israeliano Asaf Avidan.

Gran finale con lo stesso Fiorello dell’inizio, e ancora una cover dello stesso Modugno.

Il pericolo di queste serate è che uno le segue da casa, in comode poltrone, con accanto un bicchiere sempre vuoto, ma anche sempre pieno. In quattro ore se ne vanno bottiglie intere.

 

GIOVEDI’

 

Mitridatizzazione: da Mitridate, re del Ponto, il quale, per immunizzarsi contro possibili avvelenamenti, prendeva ogni giorno una piccola dose di tossico, fino ad abituarsi e renderlo innocuo.

E’ la terapia a cui ci hanno sottoposto i due sciagurati in apertura di serata cantando insieme Trottolino Amoroso. E bisogna dire che ha funzionato perché, veramente, dopo quell’ascolto non poteva capitarci niente di peggio.

Anche se:

1.      La telecamera oggi, ieri e l’altro ieri ha troppo insistito sui primi piani del chitarrista in orchestra, un bravo musicista, ma di aspetto, portamento ed espressioni funeree, e senza mai il sospetto di un sorriso.

2.      Elio, in disaccordo con la critica e i giornali, continua a non sembrarci quel genio della musica che tutti dicono, ma solo un divertente furbacchione.

3.      Durante il monologo della Littizzetto, invece di normali risate o reazioni umane, dal pubblico parte spesso il solito applauso televisivo, ben freddo, che gela il ritmo del discorso. A noi è piaciuto come è riuscita a eliminare ogni venatura equivoca, lasciando intatto il suo semplice significato letterale alla parola “stronzo” (un uomo che picchia una donna è solo uno stronzo).

Bella la faccia di Baggio, funestata da una di quelle schifose barbette (per intenderci, alla Ascanio Celestini, ma più scarsa), che fanno pensare, più che a un mento, a un pube spelacchiato. E carino lui con il suo impegno sociale. Il problema? La lettera troppo lunga e patetica, letta senza un minimo di distacco. In fondo siamo a un festival, non a una riunione di lupetti.

E poi quel grosso frolloccone in poncho: Anthony and the Johnsons (ma chi sono, e soprattutto, dove stavano nascosti questi Johnsons?), presentato come la voce del secolo. Mah. Dopo il suo banale pippone ecologico-femminista, durante il quale abbiamo intravisto Fazio piuttosto insofferente, ci è sembrato solo un gran maleducato, che se ne è pure andato senza salutare.

In chiusura, bis dell’inizio: di nuovo il Trottolino, e buonanotte.

 

VENERDI’

 

Ci siamo arrivati finalmente, al cimitero degli elefanti.

Lo si capisce dal frequente applauso funebre ogni volta che si nomina un illustre dipartito. Lo diciamo naturalmente con tutto l’affetto per le persone (molti vecchi amici). E’ un po’ come all’uscita di chiesa della bara. Un’abitudine che non ci piace un gran che. Nell’ordine, sono stati omaggiati: Dalla, Pavarotti, Tenco, Buongiorno, Bardotti e Mia Martini. R.I.P.

Se fossimo nei panni di Pippo Baudo, che all’apparizione (da vivo) ha ricevuto una standing ovation, cominceremmo a preoccuparci. Ne riparliamo dopo.

Nuovi primi piani sul chitarrista funereo, solo che stavolta era alla mandola.

Delle riesumazioni ci ha colpito positivamente “Tua” per il bell’arrangiamento e la chitarra di Franco Cerri, uno dei tanti vecchietti della serata, un po’ vacillante sulle gambe ma sempre swingarolo. Alla fine del pezzo, Fazio, lo ha riconsegnato al duo Molinari-Cincotti con un: “Prendetelo …anzi, accompagnatelo voi, il maestro Cerri” Un pacco, ecco cosa si diventa a un certo punto.

All’inaugurazione della statua di Mike, troppi, inutili e sgarbati i primissimi piani su un devastato panorama che sarebbe stato meglio nascosto da una veletta. Parliamo del volto alieno della vedova Buongiorno.

Torniamo a Pippo. Finalmente bianco e ingrassato. Lui non è un vecchietto. E’ un vecchione, addirittura ingombrante con la sua presenza monumentale. Non ha dato spazio a nessuno. Certo, al dittatore giubilato non competono né ironia né leggerezza. Forse sottolineare la sua pesantezza è esagerato, e magari snob, ma c’era, e si è sentita.

Quanto è invece simpatico, spiritoso, leggero e intelligente alla tastiera Stefano Bollani! Se fosse anche bello, saremmo tutti schiantati dall’invidia.

E per finire, un altro nonnino, delicatino, fragilino, con tutto il suo mito. Caetano Veloso ha cantato con un filino di vocina, sufficiente finché è rimasto nel genere brasiliano. Quando ha attaccato Volare, questo filino ci è sembrato davvero troppo striminzito.

Poi, presto tutti a dormire, che la casa di riposo chiude.

 

SABATO

 

Si apre con cavalcata delle Walkirie e marcia dell’Aida. Daniel Harding dirige guardando in cima al muraglione, dove sono appesi i suonatori. Fazio lo ringrazia più volte con deferenza per la sua presenza a Sanremo, neanche fosse il dio della musica colta (anzi d’arte, come la chiama lui) sceso in mezzo alla spazzatura. Come mai tanta umiltà? Non sarà mica venuto gratis?

Di nuovo ci siamo sentiti in imbarazzo per un comico. Stavolta Bisio. Stentato, tutto in salita, molto qualunquista, faticoso da seguire, spesso volgare, giustamente ignorato dal pubblico e comunque troppo lungo. Bocciato.

E poi Bocelli, un caso estremo di disperata mancanza di swing. Ha massacrato, di sicuro senza rendersene conto, “Love me tender” e “Quizàs, quizàs, quizàs”. Questo dello swing è un ostacolo capace di far finire qualunque musicista in un vicolo cieco.

Oops!

 

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