Il quadrilatero delle urine

Dalle parti dei Caraibi hanno il Triangolo delle Bermude. Noi, qui a Roma, abbiamo il Quadrilatero delle Urine.

In mezzo a un mediocre e degradato quartiere di edilizia intensiva fine ottocento, dalle parti della stazione Termini, c’è Piazza Manfredo Fanti, e in mezzo a questa piazza è sopravvissuto un ritaglio di dignità architettonica: l’Acquario Comunale, oggi Casa delle Architetture.

E’ un bell’edificio circolare in stile eclettico fine ‘800, al centro di un quadrilatero delimitato da un muretto con cancellata che racchiude un giardino. Che è ornato da scarsi resti delle mura serviane, mezze sprofondate in una fossa inaccessibile e da alcuni vasconi di legno in cui stentano a sopravvivere piantine di pomodoro, melanzane, salvia, prezzemolo e altri tentativi di riprodurre un orticello (con funzioni didattiche per gli scolari del vicinato?)

Tutto intorno, in compenso, svettano parecchi enormi, magnifici alberi secolari. Stessa età dell’edificio e dei quattro o cinque vecchietti, in giacca gialla con su scritto Roma Capitale, occupati a svolgere un precario sevizio d’ordine anti extracomunitari.

Sulle panchine si ammucchia una folla di cinesi, i colonizzatori del quartiere, occupati a chiacchierare e soprattutto a sputare per terra. Pare che neanche Mao sia riuscito a far perdere questa brutta abitudine ai suoi connazionali.

Fin qui siamo nella normale descrizione turistico-folklorica. Impensabile sperare di parcheggiare davanti all’unico ingresso, quindi un periplo a piedi, anche parziale, del muretto esterno con la sua cancellata è obbligato. A questo punto si entra nell’horror.

Tutto il perimetro del nostro quadrilatero è marcato da bottiglie rotte, stracci abbandonati e soprattutto un alone di stratificazioni ammoniacali, con i conseguenti caratteristici miasmi. Soffocanti. Notti e notti che devono aver visto un intenso traffico, forse di ubriachi, o magari di semplici poveracci privi di impianti igienici che da qualche parte dovevano farla. E l’hanno fatta, in tanti, proprio su quel muretto. Metro dopo metro, non trascurando angoli e lampioni. E nessuno pulisce da anni, questo è certo.

Noi, naso tappato e passo baldanzoso, martedì 6 maggio entriamo nel magnifica salone rotondo che riempie la circonferenza dell’edificio. E’ uno spazio molto particolare. Una superba altissima cupola e tutto intorno due gallerie sovrapposte di grande effetto scenografico. Insomma, una specie di Panteon ottocentesco, certo meno monumentale ma quasi altrettanto impressionante.

Qui è allestita la mostra “Futuro anteriore” (forse dal titolo dovremmo immaginare che è quello che ci aspetta domani, o al massimo dopodomani?). Opere di Roberto Fallani. Come da foto: corpi parzialmente eviscerati, teste attaccate a filamenti semiputrefatti, e altre simili piacevolezze plasmate in materiali indefinibili ma affascinanti, travolte da una grande, malata inquietudine. Il tutto sottolineato acusticamente da una pulsazione incessante che riempie lo spazio cavernoso dell’Acquario con un micidiale rombo a bassissima frequenza.

Bisogna ammetterlo, la mostra fa un certo effetto. Di sicuro, non rasserenante, come non lo è la situazione all’esterno; ma almeno questa è arte, e nell’arte c’è sempre consolazione dalla realtà.

Poi, per fortuna (perché anche il corpo, oltre allo spirito, ha le sue esigenze) abbiamo trovato ulteriore conforto nell’offerta di uno squisito vino bianco, il cui aroma e la cui freschezza ci hanno somministrato un graditissimo antidoto al macabro, ma, ripetiamo, affascinante disfacimento delle anatomie dell’artista.

 

 

PS. La mamma italiana perdona. Leggiamo che la mamma di Ciro Esposito dichiara: “Io nel mio cuore ho già perdonato”. Un branco di delinquenti le ha quasi (ancora non sappiamo se del tutto o in parte) ammazzato il figlio per stupide questioni di pallone, e lei li perdona?

Ecco la ricetta sicura per deresponsabilizzarci tutti e non farci  crescere mai. Il perdono è un perfido distillato cattolico, e ancora di più italiano, che annulla la indispensabile certezza della pena. Anzi, ne rafforza l’incertezza.

E quindi a che serve comportarsi correttamente? Esempio minimo ma quotidiano: sì, qui c’è lo spazio handicappati, ma proviamoci lo stesso a parcheggiare, magari il vigile non passa, o se passa ha altro da pensare. E se arriva il titolare dello spazio? Beh, si arrangerà, qualche altro posto lo trova di sicuro. Se poi scatta la contravvenzione, c’è sempre la speranza del perdono (amnistia, dimenticanza delle autorità, errore di consegna…) e così via, dalla multa all’omicidio d’onore. O di sport. 

 

 

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