Anastilosi

Anastilosi: s.f.

 

In archeologia, ricostruzione di edifici ottenuta mediante la ricomposizione, con i frammenti originali, delle antiche strutture.

21 aprile, Natale di Roma. Brezza tiepida, sole scintillante. Notizie lette qua e la ci dicono di un programma di anastilosi sulle colonne del Tempio della Pace, due delle quali dovrebbero essere visibili proprio oggi.

L’idea di ritrovare in piedi monoliti che giacciono da secoli sdraiati e a pezzi ci fa saltare sulla sedia, e usciamo di corsa.

Folla di turisti chiassosi e distratti. Incomprensibile attenzione dei più su insignificanti scemenze: il ragazzotto accovacciato a terra con musica tecno che dipinge orribili paesaggi con le bombolette spray, il chitarrista che rifà a modo suo i Pink Floyd, e poi, se avanza qualche neurone, un’occhiata al Colosseo.

Di anastilosi si intravvede appena un accenno. C’è un’impalcatura con un alto tendone che copre e scopre, a seconda della brezza, un paio di cilindri di granito che potrebbero essere le famose colonne, e da cui provengono rumori di attività.

Suoni artigianali che fanno pensare alla bottega di Mastro Geppetto piuttosto che a un cantiere in grande stile, ma in ogni caso qualcosa si muove e prima o poi porterà a un risultato.

In compenso ci sono i papaveri nuovi che a nostro parere stanno benissimo insieme ai marmi vecchi. Della brezza abbiamo parlato, del sole anche. Ci pare proprio che per festeggiare il compleanno di Roma non serva altro.


Un concerto informale

 

“.in my life.” 23 aprile, Parco della Musica

Un evento di Contemporanea è normalmente considerato un’occasione molto seriosa (e spesso molto noiosa). Noi invece ci siamo fatti un sacco di risate.

In primo luogo perché siamo arrivati alla biglietteria già dotati del propedeutico Negroni che al bar dell’Auditorium preparano così bene. Poi perché l’atmosfera che ci ha accolto era davvero informale: l’amico Enrico Marocchini, compositore in forza a Nuova Consonanza, anche senza Negroni era al meglio delle sue caratteristiche di sublime cazzeggiatore. Fausto Sebastiani, uno degli autori in programma, inappuntabile e garbato maestro di cerimonie, è stato capace, durante la performance del suo bel pezzo per chitarra ed elettronica, di buttarsi a sedere sul pavimento per manovrare le manopole del cassone tecnologico.

Il decano Marcello Panni presentando il suo brano che chiudeva la manifestazione, scritto, come usava negli anni Sessanta in forma di gioco colorato ad arbitraria disposizione degli esecutori (omaggio alla Settimana Enigmistica) ne ha dette tante, e divertenti, fra cui una che facciamo nostra per la sua indiscutibile, sorprendente verità. “La musica aleatoria è l’unica veramente fedele al pensiero del suo compositore. Perché, se un mezzoforte scritto da Beethoven in partitura sarà inevitabilmente interpretato dall’esecutore in un modo forse giusto per lui stesso, ma non necessariamente corrispondente all’intenzione dell’autore, l’esecuzione, appunto aleatoria, proprio perché ogni volta diversa, coincide esattamente con quanto indicato dal compositore con l’uso di questo termine“.

A noi è sembrato ineccepibile. Forse il Negroni?


Risotto al barrito

 

Abbiamo gustato questo insolito piatto al tramonto di lunedì 20 nella sede dell’Associazione dei Veneti a Roma.

Eravamo invitati a un incontro su Ercole Venetico e l’eredità politica di Ottaviano Augusto, nonché alla presentazione di un libro; il tutto seguito da una degustazione.

L’argomento im­pegnativo e la temperatura tropicale in sala (finestre ermeticamente chiuse: pubblico in età) a un certo punto ci hanno suggerito di sgattaiolare fuori e rifugiarci nella adiacente magnifica ter­razza con affaccio sulla jungla (vedi foto).

Dal folto della quale hanno cominciato a salire terrificanti  barriti, ruggiti paurosi e altri inquietanti richiami non identificabili, ma di sicuro esotici e primordiali.

Finita la conferenza (noi sempre in esterno e colpevolmente assenti agli applausi), è apparso il rinfresco promesso: pentoloni fumanti di risotto tipico veronese. Mentre i selvaggi ululati aumentavano, uno dei cuochi ci ha soccorso nel nostro smarrimento: “Nol se preocupi, siòr, xe l’ora del pasto e i animali del zoo, che i ga fame come noialtri, i fa un gran bacàn”.

Insomma, niente Salgari, siamo a Roma: sul retro del terrazzo e precisamente in Via Al­drovandi ci passa il tram, e, di fronte, la foresta pluviale altro non è che gli alberi rigogliosi di Villa Borghese.

E le bestie feroci ci sono, sì, ma nelle gabbie del sottostante Giardino Zoologico.

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