In mutande

Archeo inferno

 

Malgrado tutta la prosopopea del nostro passato imperiale di SPQR, della Veneziana Serenissima Repubblica, dei Magnifici Medici Toscani, del Primato Spirituale del Papato, di Leonardo, Michelangelo, Bernini, eccoci qua, noi italiani eredi di tanta gloria: in mutande.

Ce lo ha confermato un tristissimo “tour del brutto” che abbiamo seguito domenica 14, sotto la guida di Mario Tozzi, commissario del Parco dell’Appia Antica, e Roberto Ippolito, giornalista, nell’archeo inferno della Via Appia. Domenica, abbiamo detto. Ci sarebbe un rigoroso divieto di transito, tutti i giorni festivi, dalle 9 alle 18. Naturalmente neanche un vigile in vista, e traffico da terzo mondo, con i poveri turisti, come noi sfiorati da auto e moto a tutta velocità, perfino ambulanze a sirena spiegata sui sampietrini sconnessi e rumorosi.    

E’ ovvio che non possiamo aspettarci pecore, pastorelli e la romantica solitudine della campagna romana dei secoli passati, ma non sembra giusto né intelligente trovarci addosso, nello spazio di neanche un miglio un’autocarrozzeria, un deposito di carburante, due orridi viadotti, uno ferroviario, l’altro automobilistico, mucchi di immondezza dappertutto, muri pericolanti o crollati, ristoranti annidiati dentro sepolcri imperiali, proprietà private sotto esproprio da decenni, che rimangono private; e così via sottolineando il disprezzo per elementi che, presi da soli, sarebbero sufficienti per attirare carovane di turisti, figuriamoci tutti insieme.

Alla stupidità di chi dovrebbe rendere fruttuosa questa magnificenza di arte, natura e storia (un capitale che con due colpi di scopa, un dipendente in divisa a sorvegliare il traffico e il buon esempio da mettere sotto gli occhi dei cittadini maleducati, potrebbe diventare un conto in banca sempre in nero per la città) si aggiungono obiettive difficoltà: vere, questa volta. Due soprintendenze, tre comuni, l’onnipresente naso del Vaticano ficcato in mezzo alle mappe, competenze sovrapposte, servitù militari, Comune, Provincia, Regione, e così via burocratizzando quello che con un po’ di buon senso potrebbe essere semplicissimo.

In più, e questo ci sembra talmente meschino da poterlo definire quasi criminale, ci è stato raccontato da Tozzi in persona che la soprintendenza archeologica non ha gradito, anzi ha dichiarato che “l’Appia Antica non ha bisogno del tour del brutto”.

Come dire che i panni sporchi si lavano in famiglia. Nobile pensiero di tipo mafioso.


In mutande (segue)

 

Visto che siamo in argomento (mutande e scempiaggini), abbiamo notato che si ricomincia a parlare di olimpiadi a Roma nel 2024. Evidentemente non basta come esempio la bancarotta in cui è precipitata la Grecia a causa delle spese folli per le sue, del 2004.

Aggiungiamo a questo pensiero tutti quei bei casi di onestà e correttezza spuntati come fiori dal letamaio dello sport, che ci fanno ben sperare, come cittadini italiani, che i pochi spiccioli che ci rimangono in tasca sarebbero in buonissime mani se affidati a coloro per cui l’unica cosa che conta è la fratellanza e la partecipazione. Mica i soldi.

L’altro giorno passeggiavamo per il Foro Italico, magnifico (lo diciamo sul serio) monumento costruito dal fascismo per celebrare lo sport italiano.

Le strutture sportive, insieme a quelle civili: uffici postali, municipi, città della bonifica, case dei mutilati, università e ospedali sono davvero la dimostrazione che ogni tanto anche i regimi, se sanno scegliere bene i propri uomini, sono capaci di produrre un’architettura coerente, omogenea, moderna; insomma, bella.

Poi, mentre facevamo il giro dello Stadio dei Marmi, alzando gli occhi, ci siamo trovati davanti un campionario quasi infinito dei protagonisti della nostra giornata: uomini in mutande.

Mutande di marmo, di bronzo, di corda, o addirittura inesistenti.

E ci è venuto in mente che questi magnifici omoni, opera di scultori, alcuni più bravi o famosi di altri, ma tutti graditi al regime e quindi conniventi con questo stile imperiale e retorico, è possibile che siano stati usati all’insaputa, appunto, del regime, il quale, assordato dal rumore dei suoi stivali e accecato dallo scintillio delle sue baionette, di nulla si accorgeva, come messaggeri per gli italiani: “Attenti: rischiate di finire in mutande!”

Il che è poi puntualmente accaduto.

 


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