All'arrembaggio

L’evento: giovedì 12, inaugurazione della mostra “Dialogo sulla Misericordia”. Il luogo: il fantastico giardino interno dei Musei di San Salvatore in Lauro. L’organizzazione: una joint venture fra l’Ermitage, il Pio Sodalizio dei Piceni, e le edizioni Il Cigno.

Arriviamo un po’ in ritardo, quando la vera e propria presentazione è finita. Ci viene incontro, appena entrati, un grande manifesto con la doppia lista delle Sette Opere della Misericordia.

Che si dividono, come tutti sanno, in spirituali: Consigliare i dubbiosi; Insegnare agli ignoranti, eccetera.

E in corporali: Dar da mangiare agli affamati; Dar da bere agli assetati, e così via.

E qui ci siamo resi conto della fedeltà al testo con cui i precetti corporali sono stati messi in pratica perché, scesi nella zona rinfresco ci siamo trovati coinvolti in un arrembaggio alle tavole talmente competitivo che non siamo riusciti a rimediare né un tramezzino né un bicchiere di vino.

Per consolarci siamo tornati ai saloni dell’esposizione, ormai deserti, e qui ci siamo goduti un gruppo di bei quadri di soggetto, appunto, misericordioso: pittori minori e non, sei-settecenteschi, e parecchi interessanti dell’ottocento: Luigi Nono, Antonio Mancini, Girolamo Induno.

Finito il giretto, ci abbiamo riprovato, ma a questo punto le mense erano state depredate al di la di qualsiasi possibilità di recupero.

Una lezione di vita: chi tardi arriva…

Anche se rimasti a bocca asciutta non vogliamo tornare a casa senza raccontare questo magico giardino al quale si arriva scendendo dal chiostro lungo una scaletta a mezzaluna.

 

Forse un tempo si affacciava sul Tevere, ormai irraggiungibile a causa dei muraglioni; poi fu chiuso da un muro di fondo, assediato dagli edifici del convento e dal fianco della chiesa, e adesso è diventato un paradiso inimmaginabile dall’esterno.

 

Ma non irraggiungibile per chi osa partecipare a queste manifestazioni, o per chi abita in qualche vecchio appartamento dimenticato, magari di quelli sgarrupati e a fitto bloccato (ammesso che ce ne siano ancora) che, immeritatamente, si affaccia su questa meraviglia.

 


Made in Roma

 

Geniale titolo di una mostra piuttosto furbetta ma gustosa, inaugurata lo stesso pomeriggio ai Mercati Traianei. Si tratta di una raccolta di marchi di produzione di epoca romana, argutamente messi a confronto nelle vetrine con quelli contemporanei a noi più familiari: Mercedes, Coca Cola, ecc.

La differenza è che, da loro, a noi è arrivata solo roba su terracotta, vetro, marmo. Tutto il resto che certamente circolava all’epoca su legno, stoffa, pergamena è scomparso. C’è poi un altro articolo che i romani marchiavano con gran cura e che a noi non è arrivato: gli schiavi.

Così sono spariti quadri, arazzi, intarsi e altri materiali deperibili; per cui noi tendiamo a immaginarci gli antichi come un popolo di architetti e scultori; nient’altro.

Errore: di sicuro le case e i palazzi romani erano scintillanti di tende, quadri, mobili, tappeti, cuscini pieni di colore.

E i marmi non erano solo bianchi. Ce n’erano di ogni sfumatura e venatura. La cosa curiosa che viene fuori guardando i pochi frammenti delle enormi strutture dei Fori Imperiali esposti nelle sale dei Mercati è che, invece delle sottili lastre colorate che ornano i pavimenti e gli altari delle chiese barocche (recuperate depredando e affettando i resti romani) i blocchi originali erano, crepi l’avarizia, massicci.

Mentre in seguito, nei secoli successivi e più poveri, sarebbe bastata una crosticina di pochi millimetri per rivestire un pilastro di mattoni, allora quel pilastro era tutto intero: mezza tonnellata di marmo pregiato. E il bello dei frammenti, come questo di cipollino, è che le loro fratture traumatiche scoprono il tesoro di vene e disegni che sta nascosto, e senza il crollo ci sarebbe rimasto per sempre, all’interno.

E’ la forza del tempo e dei fatti che si manifesta così.

 

Finalmente, concluso il percorso, si esce nel fulgore del tramonto romano sui Fori, con il Vittoriano (che regge benissimo il confronto) a destra, il Colosseo in fondo a sinistra, il Campidoglio di fronte e sotto le finestre la distesa di capitelli, colonne spezzate e cornicioni.

E in primissimo piano ti trovi uno così, uno di quelli che ormai, avendo perso qualsiasi timore per i turisti umani, ti si piazzano a pochi centimetri dall’obiettivo, con quella loro faccia piuttosto inquietante e, cascasse il mondo, non si spostano.

Un vero tipaccio.

 

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Commenti: 13
  • #1

    Francesco Casaretti (domenica, 15 maggio 2016 17:44)

    Bellissimo! E poi trovo sublime la foto finale del gabbiano, che sembra incarnare il romano di una volta. Quei vecchi romani cinici e completamente indifferenti di fronte alla varia umanità che scorre davanti ai loro occhi da secoli e secoli.

  • #2

    RDB (lunedì, 16 maggio 2016 00:00)

    Un tipaccio davvero quel primo piano del gabbianaccio! Come hai fatto a farla senza farti beccare? Guardarlo è come vedere le facce dei partecipanti al banchetto della misericordia. Bravo!

  • #3

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