Overdose

Davvero gustosa la rassegna “RepIdee” organizzata da Repubblica, finita ieri al Maxxi. Il posto è bello, gli spazi dentro e fuori anche, nessun evento dura più di un’ora, e soprattutto si può, con qualche accorgimento logistico, sgattaiolare via quando si vuole.

Sì perché gli argomenti sono certo interessanti ma ci sono momenti in cui il protagonismo dei presenti sul palco supera, diciamo così, il livello di assorbimento dello spettatore.

Per overdose di snobismo: nel ricordo di Pirani. Tutti, nel circolo delle somme intelligenze, si parlano un po’ addosso e citano gli altri chiamandoli per nome di battesimo. E noi che non li conosciamo così bene, come facciamo a identificarli?

Per overdose di giovanilismo: gli youtubers. Ragazzi che hanno naturalmente le insicurezze dei vent’anni; ma noi fatichiamo a sentirli parlare senza prendere fiato, ogni frase che termina con un “no?” E i capelli frugati da dita nervose. E la frangetta da rimettere a posto, e la ciocca di qua e la ciocca di la…

Per overdose di borgatarismo: Zerocalcare. Ottimo disegnatore. Di successo. Molto casual. Un po’ troppi cioè (ancora!), no, embè, eccedera, cazzo, me rode er culo, risatine vacue.

Per overdose di contrasto: De Gregori e il suo intervistatore Antonio Gnoli, peraltro ottimo giornalista, quando scrive; perché quando parla e tenta di riportare il primo nei limiti dell’intervista banale non ce la fa proprio ad addomesticare la sua assoluta semplice naturalezza, appunto tutt’altro che banale. De Gregori è civile, preparato e parla bene. E non se la tira.

Per overdose di lentezza: Zagrebelsky sulla solitudine di Pilato. Interessantissimo argomento, ma lui parla con pause stremate, tono monotono e tempi dilatati. Due perle: “La religione quando abolisce i dubbi diventa veleno” e, sulla grandezza del personaggio Gesù: “Una cosa è risorgere, altra cosa invecchiare”. Ottimo, ma che fatica.

Piccola malignità per chiudere: il direttore Mario Calabresi usa spesso il tanto esecrato “piuttosto che”, fra i romani sconosciuto, ma molto familiare ai milanesi, al posto di “oppure”.

Gli altri ci sono sfuggiti perché, non essendo ubiqui abbiamo dovuto occuparci anche di:


Yuja Wang, martedì 7 giugno nella serata di chiusura della stagione di Santa Cecilia. Ravel, i due concerti per pianoforte: quello in sol bellissimo, l’altro di virtuosismo mancino. Lei suona benissimissimo. E’ di un’abilità manuale vertiginosa, e nello stesso tempo piena di tenerezza quando serve. Un portento, sotto tutti gli aspetti, anche quello fisico.

E’ molto carina e si veste senza seguire la consuetudine parruccona del mondo classico. Come le va, cioè sexy. Il che naturalmente provoca ammiccamenti nei vecchi porcelloni che la sbirciano. Sentito uno di loro, prima dell’inizio, che bisbigliava con gli amici sui vestiti di Yuja e assicurava di aver saputo che sotto non portava niente.

E’ una voce che ci ha infastiditi altre volte. Fra le peccatrici segnalate: Ornella Vanoni, Tina Turner, Dolcenera; insomma qualunque donna di spettacolo di qualche avvenenza. E ogni volta ci domandiamo perché a un’artista che non sia una pornostar dovrebbe venire in mente di salire su un palcoscenico senza mutande.

Semmai un appunto si può fare sulla resa di una minigonna portata su gambe orientali, notoriamente non il massimo quanto a lunghezza e drittura. Come si è effettivamente presentata la signora quando, alla cena dopo il concerto (ottima, a base di salmone in tutti i modi e dolci squisiti) ha ricevuto uno spunzone metallico a forma di rotaia consegnatole come premio da un rappresentante delle FFSS, che ha accompagnato la cerimonia con un discorsetto in un inglese che sembrava pari pari Alberto Sordi quando faceva whatsamerica.

Lui sì imbarazzante, altro che la minigonna.




L’immensità

Giovedì 9: l’immensità è quella delle Terme di Diocleziano: uno spazio che ai suoi tempi riusciva a ospitare più di tremila clienti e almeno mille servitori. In una sala di questa sconfinata città, senza indicazioni per arrivarci (infatti il tutto è cominciato con un’ora di ritardo), ci aspettava la vernice di una mostra di pittura di Sandro Luporini: come pittore, lo confessiamo, a noi del tutto sconosciuto, venendo invece la sua fama dall’essere stato da sempre il coautore dei testi di Giorgio Gaber.

Arrivati come Pollicino faticosamente alla meta, siamo stati indennizzati dai fuochi artificiali sparati dalla paradossale eloquenza di Philippe Daverio, curatore della mostra e insostituibile intrattenitore che ci ha deliziati per quasi un’ora. Il dolce di Daverio ci è stato un po’ amareggiato dall’interpretazione di alcuni monologhi della coppia Gaber Luporini da parte dell’attore Luca Mondella. Bravo, non c’è dubbio, ma noi siamo convinti che Gaber sia uno di quei personaggi che non possono essere sostituiti, tanto meno imitati da nessun altro. E’ così vero, che in questa versione i testi ci sono sembrati decisamente datati. E questo non va bene.

E i quadri? Ci hanno ricordato una combinazione fra le illustrazioni di Dino Buzzati e i personaggi imbambolati dei dipinti marinari di Carrà. Che non chiarisce molto. Ma questa non è una critica d’arte e ce la caviamo così.


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Commenti: 2
  • #1

    Francesco Casaretti (lunedì, 13 giugno 2016 09:37)

    Tutto molto godibile e condivisibile! Un sentito grazie!

  • #2

    RDB (martedì, 14 giugno 2016 13:31)

    Settimana intensa la vostra! Eventi Romani mondani e non. L'immaginazione della mancata biancheria intima della pianista ha reso il concerto piccante, poco importa quale sia la verità, anche il Cavaliere e il serpente si sono fatti prendere dall'eccitazione del pettegolezzo? ....hai hai vecchi sporcaccioni. Tanto è efficace che è la cosa importante che rimane della settimana culturale. Baci baci.
    P.S. Tanto per la cronaca. Non è inusuale che facendo arte non si indossi biancheria intima, questo non per eccitare gli astanti, ma solo per non segnare il corpo inesteticamente quando si indossano abiti stretti.
    Certo viene notato solo se l'artista è di per se già eccitante.