Il meglio recuperato in pillole - Costume

La piega dei pantaloni.

C’è una mostra di Valerio Adami alla Galleria Andrè che ci ha colpito non per le opere, ma perché l’artista, nella sua autopresentazione, riferendola alle linee nette dei propri quadri, inserisce una sorprendente e a noi sconosciuta citazione di Arnold Schönberg del ’22. “La piega dei pantaloni è uno degli ornamenti più belli dell’uomo. Quindi l’uomo elegante è obbligato a tenere la piega, sebbene, a dire il vero, essa non sia stata stirata per essere portata così; al contrario, è stata fatta per non essere portata così, ma per essere messa in valigia”.

Siamo indecisi se definirla una perla o una scemenza d’artista. Comunque, diavolo di un uomo!

13 ottobre 2014


Doh!

L’altro giorno, per puro caso, abbiamo ripescato su uno scaffale della nostra libreria, in un’edizione del 1964, i “Racconti ed Episodi Morali” di quel finissimo predicatore che fu San Bernardino da Siena. Ci siamo messi a leggere con grande diletto gli istruttivi aneddoti, scritti nella prima metà del quattrocento, e cosa abbiamo trovato in testa o in coda alle battute più vivaci? “Doh!” quasi a ogni pagina. “Doh, guarda colui quanta crudeltà…”, “Doh! Io mi ricordo…”, “…non debbo io sapere come m’è lecito? Doh, doh!”

Allora (nel quattrocento, ovvio, ma anche nel ’64) non esisteva ancora Homer Simpson, irresistibile per la genialità del personaggio ma anche per i “Doh!” che spara a raffica (rimasti uguali nell’originale e nella traduzione italiana).

 

Homer Simpson e San Bernardino da Siena abbinati da una coincidenza linguistica? Mah! Anzi, Doh!

 

22 settembre 2014

 


Dario Fo

L’Auditorium di Via della Conciliazione (sala privata di proprietà vaticana) ha rifiutato a Dario Fo la messa in scena di un testo di Franca Rame. Virtuosa indignazione da parte dei tartufi. A noi, al contrario, sembra lo scivolone di un vecchio citrullo (oppure una mossa furbastra in cerca di pubblicità).

Ma come, con tanti spazi laici in giro, e dopo una vita da mangiapreti, Fo va a chiedere la sala al Vaticano? Gli hanno detto di no; cosa si aspettava?

4 novembre 2013


La vecchiaia.

Your attention, please. L’argomento è la vecchiaia, un tema che interessa noi, e, prima o poi, interesserà anche voi. E’ una riflessione di Fellini, riportata in un bel libro di Moraldo Rossi che parla di lui e dei suoi sogni. Federico dice: “A volte mi chiedo cosa c’entro io con la vecchiaia”. Che è il modo più tragico e nello stesso tempo ingenuo di raccontare lo stupore che ci prende quando ci accorgiamo che, con una velocità impressionante e senza preavviso, è successo quello che pensavamo potesse accadere solo agli altri: siamo diventati vecchi. Anche noi.

27 dicembre 2011


Carri armati e fiorellini.

A Roma, accanto alla Basilica di Santa Croce in Gerusalemme c’è un magnifico spazio compreso fra le Mura Aureliane, l’Acquedotto Claudio e l’Anfiteatro Castrense. Un frullato di archeologia, natura e storia, perché qui dentro, oltre a imponenti ruderi romani e un bel prato, ci sono il Museo degli Strumenti Musicali, il Museo dei Granatieri e quello della Fanteria. Il 18 luglio, organizzato dal Centro Sperimentale di Cinematografia, parte un festival intitolato “Santa Croce Effetto Notte”.

I musei militari sono aperti per l’occasione. Giriamo per sale e spazi esterni, dove hanno piazzato cannoni, mitragliatrici e carri armati.

Ce n’è uno italiano, dell’ultima guerra in Africa (foto). Da ridere. Grande come una Smart, con una corazza che a batterci sopra suona come una scatoletta di Simmenthal. E lì vicino un gigantesco carro americano della stessa epoca. Quello sì che fa paura. Chiaro che ad andare a fare la guerra con quella attrezzatura, c’era da aspettarsi che sarebbe andata proprio come è andata.

Ecco il richiamo al titolo. Perché appoggiati a terra, civettuoli, davanti a ogni carro armato, cannone, blindato, fanno la loro ridicola figura degli striminziti vasetti di fiori: due petunie davanti al mortaio, una verbena di fianco all’antiaereo. Come se la massaia comandante avesse sentito il bisogno di ingentilire con un tocco disneyano, l’inaccettabile look marziale delle armi.

Non sappiamo se è una morbidezza solo degli italiani (brava gente); certo, mettere dei fiori, se non proprio dentro, vicino ai nostri cannoni, secondo lo slogan del ’68 (magari un po’ modificato), qui fa proprio ridere.

28 luglio 2011


Il Partenone.

26 settembre 1687. Le truppe veneziane stanno assediando Atene, che in quel momento è turca. Parte una cannonata che cade sull’acropoli, esattamente sul tetto del Partenone. Lo sfonda, e con un gran botto salta in aria il monumento più bello e famoso del mondo occidentale.

Vecchio di due millenni, prima tempio, poi chiesa, poi moschea, ma ancora in buone condizioni, i turchi ci avevano piazzato un deposito di polvere da sparo.

D’accordo che è stupido sparare su un monumento famoso, ma adattarlo a polveriera è peggio.

Un secolo dopo la cannonata, il console inglese ad Atene, Lord Elgin si rende conto di cosa c’è sotto i calcinacci, rimasti ammucchiati in una specie di discarica storica, e un po’ le compra, un po’ se le prende, fatto sta che da allora una parte di quelle sublimi sculture si trova al sicuro al British Museum, e lì resteranno, speriamo, malgrado le richieste di restituzione.

E’ il solito giro. In fondo parecchi dei capolavori che Napoleone ci ha rapinato per portarli al Louvre (dove peraltro stanno benissimo), se non ricordiamo male erano già stati prelevati da qualche Marcantonio romano secoli prima in Grecia o in Egitto. E’, appunto, il solito giro.

Abbiamo scritto “speriamo” perché noi siamo fieramente favorevoli a che le opere d’arte continuino la loro vita anche lontane da casa, ma protette e visibili a tutti. Ci pare sciocco, per esempio, che due bronzi talmente strepitosi da essere diventati, appena scoperti,  delle archeostar, li abbiano esiliati in un museo fuori mano, a Reggio Calabria, solo perché trovati a Riace, due passi da lì. 

A Roma, dopo il restauro, c’erano chilometri di fila per vederli; a Reggio, e ci siamo passati un paio di volte, il museo che li ospita, carino e pure antisismico, lo abbiamo sempre trovato malinconicamente vuoto.

31 marzo 2011


Gambe corte.

Il nostro spiritoso amico Bruno Lauzi (guarda quante volte ritorna nei nostri pensieri adesso che non c’è più) a proposito degli inni diceva che la statura media dei cittadini, o meglio ancora, la lunghezza delle gambe dei soldati di un paese si può facilmente dedurre dal tempo di metronomo del suo inno nazionale. Più veloce l’inno, più corte le gambe. Basta confrontare “Fratelli d’Italia” e “God save the Queen” per dargli ragione.

Lasciamo da parte gli inni e rimaniamo sul tempo. I primi strumenti a essere inventati dall’uomo, i tamburi, tendono a riprodurre ritmi naturali. E il ritmo più naturale che accompagna ogni animale perfino da prima della nascita è il battito cardiaco (quello della madre, poi il proprio).

Il cuore di un uomo giovane e sano batte sessanta volte al minuto. Il tamburo della marcia militare va al doppio: 120. Significa che un soldato fa due passi per ogni pulsazione cardiaca. E’ così naturale seguirle, che in realtà non servirebbe neanche la musica.

A proposito di cuori e di battiti (in fondo è musica anche questa) c’è una teoria che un po’ ci affascina, e un po’ ci spaventa. Sostiene che i cuori di tutti gli esseri viventi sono programmati per battere, in totale, più o meno lo stesso numero di volte prima di fermarsi. E questo determina la durata della vita di ognuno di noi (umani e bestie). Perché se il cuore di un elefante batte 30 volte al minuto, quello di un uomo 60, e quello di un criceto 420, significa che la vita di un uomo dura la metà di quella di un elefante, ma sette volte quella di un criceto.

Naturalmente, e per fortuna, questo non è più vero, unicamente perché noi abbiamo scoperto la penicillina e l’elefante e il criceto no. Solo adesso, però. Poche centinaia di anni fa il rapporto doveva essere precisamente quello.

17 marzo 2011


Il ritardo.

Ma come mai la musica è da sempre così in ritardo? Come mai dall’antichità classica non ci è arrivato niente di musicale, mentre c’erano già Catullo e Cicerone, il Panteon e il Colosseo? Perfino della pittura, di cui non è rimasta traccia (troppo fragili i supporti) tranne gli affreschi, almeno conosciamo una firma famosa, Apelle.

E’ vero che non c’era la notazione musicale, ma anche questo, perché? Come mai gli inventori di una lingua così raffinata come il latino, di un’epigrafia con i caratteri più armoniosi del mondo, ancora oggi usati perfino nel computer, non hanno rivolto un pensiero alla musica, al modo di scriverla, di conservarla?

Evidentemente perché allora la musica non contava un piffero!

2 dicembre 2010

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Commenti: 3
  • #1

    RDB (giovedì, 06 ottobre 2016 22:43)

    Piacevole lettura. Alcuni ricordati altri dimenticati. Un pensiero a Bruno, ogni tanto mi fà piacere ricordarlo. Bene, bene ora aspettiamo pezzi originali. Capisco che in questa città moribonda a parte l'archeologia, unica cosa viva, il resto è nulla.

  • #2

    Sophie Marland (venerdì, 07 ottobre 2016 17:50)

    Purtroppo, (in questo caso!), ho una memoria senza pietà sopratutto per le cose che mi piacciono....e allora bello rileggere ma.....QUANDO RITORNI A CAVALLO CAVALIERE ?????????

  • #3

    Odelia Wygant (lunedì, 06 febbraio 2017 01:11)


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