Stavolta siamo contenti

Il contastorie

RomaEuropaFestival, spazio Opificio, 16 ottobre. Un giovanotto seduto a un tavolaccio, con accanto uno scaffale pieno di cose di casa e cucina.

Troilo è una scatola di corn flakes, Ettore una bottiglietta di tabasco, Priamo un barattolo di sugo, Cressida un sacchetto di pangrattato; poi ci sono tubetti di dentifricio, flaconi di sapone liquido, spugnette e altri prodotti da massaia a rappresentare i numerosi personaggi della tragedia.

Spostando questi elementi sul tavolo, accostandoli quando s’innamorano, facendoli cadere quando qualcuno li ammazza, Jerry Killick (questo ci prende in giro, abbiamo pensato facendo la figura di snob superficiali) si è avventurato a raccontarci, in 50 minuti, da solo insieme alle sue carabattole, la trama notoriamente ingarbugliata del “Troilo e Cressida” di Shakespeare.

A metà di questi cinquanta minuti, ci siamo accorti che non più snob superficiali eravamo, ma ragazzini incantati attorno al focolare, nella capanna di un contastorie di mezzo millennio fa.

Lui a conquistarci con il suo modo di raccontare una storia facendola vivere con un niente, noi assolutamente pronti a farci stregare da questa semplice ma tremendamente efficace messa in scena.

Siamo usciti con il racconto completo ben ficcato in testa. E i corn flakes, il tabasco, la maionese, il detersivo parlanti e recitanti ancora davanti agli occhi.

Tanto per capire di cosa stiamo parlando, una sbirciatina allo scaffale-camerino dove aspettano, pronti a entrare in scena, gli interpreti di “Giulietta e Romeo”. Vicini a loro ci sono, ben divisi per titoli e contenuti (alimentari e igienici), gli altri barattoli-attori di tutte le trentasei tragedie e commedie del Bardo in programma.

PS. Trascinati da questa magia infantile, stiamo dimenticando di dire che la rassegna si chiama “Table Top Shakespeare” (Shakespeare da tavola), e il racconto, in bocca ad attori ogni volta diversi, è in inglese, ma talmente semplice e ben detto da essere comprensibile (anche grazie ai casalinghi) a chiunque. Un colpo di genio.


Acqua

Inaugurato il 6 ottobre l’AquaFilmFestival di Eleonora Vallone. Filmati, incontri, chiacchiere di argomento ovviamente liquido: mare, laghi, fiumi; anche terme, pesca e sport.

Ma il vero colpo di genio è il logo del festival, che meglio non poteva riuscire: “Il corpo umano è composto per il 70% di acqua. Il resto è cinema”.

Curiosa la presenza di Edoardo Vianello, non, come ci si potrebbe aspettare, con il suo “Pinne, fucile ed occhiali”, ma per una privata fissazione che lo macera (è il caso di dirlo) da una vita: la collezione di fontane.

In foto, naturalmente. A Roma, dice, ce ne sono 5.000, e lui è riuscito, corrompendo frati di antichi conventi o infilandosi di soppiatto in cortili inaccessibili, a fotografarne 3.560.

E’ passato a fare gli auguri al festival e ha mostrato un paio di suoi brevi film sulla fontana delle Naiadi e su quella delle Tartarughe, con musica di Cipriani e Morricone.

Belle le immagini, belle le musiche, ma (speriamo che i due maestri non si offendano) lo scroscio dell’acqua è ancora più bello.


I sanpietrini

 

Che sono dei prismi di pietra appena appoggiati su un letto di sabbia. Piuttosto pericolosi per la loro tendenza ad azzannare i tacchi a spillo delle signore, ma tutto sommato, pittoreschi nei vicoli pedonali del centro storico.  Ma come si può pensare che sulle strade di gran traffico resistano al passaggio di un autobus da venti tonnellate?

 

Ci fa contenti e ci stupisce la ventata di buon senso che intravediamo sulla pagina locale del giornale di oggi. Pare che al Comune stiano finalmente pensando di sostituire i mitici sanpietrini con un normalissimo strato d’asfalto su Via Nazionale, Cola di Rienzo, i Lungoteveri, Piazza Venezia, che, come sappiamo, non sono vicoli del centro ma strade di gran traffico. 

 

Che abbiano capito che poi, insomma, una strada, prima che un fatto estetico è un elemento funzionale della vita urbana; quindi, visto che l’asfalto è molto più economico, molto meno rumoroso e non necessariamente più brutto, non si capisce proprio cosa stiano aspettando.

 

Perché farla così lunga sulla bellezza delle pietre e la bruttezza dell’asfalto? Uno stradone non è il pavimento del salotto buono; è un percorso sul quale siamo obbligati a passare e che deve funzionare bene e basta. Il salotto buono sono i vicoli del centro storico; e quelli rimangano come sono.

 

Tutti d’accordo, o ci vogliamo ostinare con questa fissazione retrò?

 

 

 

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Commenti: 1
  • #1

    RDB (domenica, 23 ottobre 2016 18:22)

    Contento, bene, in fondo siamo tutti dei bambinoni e chi lo sa, lo sa bene!
    Infatti ci incanta con il conosciuto; carta igienica, maionese... e ancora, sempre Shakespeare.