Il castrato

Gli amici gastronomi non ci fraintendano: non è a loro che ci rivolgiamo per rimpiangere le delizie di un gustoso animale che in passato frequentava più spesso di ora le nostre tavole: braciolette, carrè, sella. In umido, in padella o al forno.

No, non a loro parliamo, ma ai musicisti, ai melomani, agli amanti dell’opera; e le delizie a cui ci riferiamo non sono per le papille ma per le orecchie.

 

Un passo indietro. Qualche tempo fa, chiesa di S. Andrea della Valle a Roma (quella della Tosca), magnifico edificio barocco dotato di un grand’organo poderoso. Festa del Te Deum; un concerto con la presenza, fra le altre voci, di eccellenti contraltisti, sopranisti e controtenori.

Immersi nel magico riverbero, dovuto al volume architettonico della chiesa che rimanda e prolunga i suoni, ci è tornata in mente la teoria che attribuisce la scoperta dell’armonia proprio all’uso, nei canti medievali, di intonare una seconda nota, e poi una terza, mentre la prima ancora echeggiava sotto le volte. Di sicuro un monaco si sarà accorto, durante qualche vespro, che in questo modo nasceva un accordo, e da qui il passaggio dalla monodia all’armonia è stato inevitabile. Ci pare possibile.

Ma quelle voci particolari hanno risvegliato anche un grillo che ogni tanto si affaccia nel nostro cervello forse bacato. Si può chiamare rimpianto il dispiacere per la perdita di qualcosa che non si conosce direttamente? Forse è meglio la parola nostalgia.

Eccolo il nome del grillo: nostalgia per il castrato.

 

Si chiamavano Farinelli o Pacchierotti, erano stati evirati da piccoli in modo da bloccargli la muta della voce, ma non la crescita del corpo. Così da grandi sviluppavano un’emissione, forse imitabile con il falsetto, ma certamente ineguagliata come timbro e potenza. Insomma, uno strumento fra la voce bianca e quella femminile, ma servito dal potente mantice dei polmoni di un uomo adulto. Cantavano l’opera. Erano amati, ammirati, applauditi dappertutto, erano in vetta alla piramide. Le rockstar del settecento. Nessun solista ha mai raggiunto la fama e la ricchezza di questi personaggi, che però, per arrivarci, avevano dovuto pagare un prezzo, diciamo così, un po’ salato. E non smettevano di pagarlo, facendo talvolta la triste fine dei fenomeni da baraccone.

Questa impressione ce l’ha confermata un libro che  stiamo leggendo su uno di questi fenomeni: Domenico Bruni. Si intitola “Biografia di un cantante evirato”, pubblicato dal Comune di Umbertide di cui Bruni era cittadino, quando ancora si chiamava Fratta. Questo poveretto, prima di diventare una star era ”nato da poveri e onesti genitori” e “aveva sviluppato una singolare abilità per il canto: Per un’accidentale fisica indisposizione fu consigliato dai medici all’evirazione e così sempre mantenne la sua voce incantevole di soprano”.

 

Si direbbe che il fenomeno dei castrati sia derivato casualmente da cognizioni mediche antiquate che provocavano interventi troppo radicali in casi di infezioni o simili. Ovviamente è vero il contrario: l’intervento era volontario. Intendiamoci, la volontà era quella dei genitori,  dei tutori,  dei nonni; non certo del ragazzo.  Ed è umano che, una volta diventati famosi, tutti cercassero di giustificare, nella vita o nelle autobiografie, una situazione scabrosa come la loro con storie di accidenti fantasiosi se non addirittura inverosimili.

D’altra parte, pensiamo a quelle migliaia di ragazzini che lo stesso prezzo lo avevano pagato per l’avidità di denaro dei genitori ma senza avere in cambio il successo (X Factor, tre secoli fa...). E’ che all’epoca, per molte famiglie povere con un figlio minimamente dotato per la musica, questa era una delle poche speranze di sistemarsi.

Sarebbe come immaginare oggi, per esempio, il tassista, padre di Bruce Springsteen, o i genitori contadini di Al Bano che un bel giorno,
mentre il ragazzo è a scuola, si siedono al tavolino, fanno quattro conti e decidono: “Beh, domani lo facciamo castrare, magari diventa famoso e poi viviamo tutti di rendita...”

 

Col tempo questa pratica incivile è stata abolita. Però, da appassionati, a noi rimane lo scontento di non aver mai potuto ascoltare direttamente quei fenomeni. Pazienza. 

Detto questo, venisse a qualcuno la perniciosa idea di andare a sentire l’unica registrazione esistente (inizio ‘900) di un castrato, su YouTube c’è Alessandro  Moreschi, l’ultimo sopravvissuto della categoria. Ammesso che sia autentica, è orripilante. Sembra un’ostessa di mezza età, ubriaca e anche un po’ stonata. Forse è colpa dell’arcaicità dell’incisione, comunque consigliamo vivamente di soprassedere se volete tenervi l’illusione.

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