N° 454 - Coronavirus - Fase Due


E’ tornato lo smog, finalmente! Tutto quell’ossigeno rischiava di farci funzionare la testa troppo bene. Adesso siamo di nuovo a norma.

Quindi, come prima, i cormorani pescano nel Tevere (l’acqua del “Biondo” che sembra inquinata è solo carica di argilla sospesa, non per colpa umana, e in più adesso ci dev’essere pesce in abbondanza), le mascherine calmierate non si trovano, le multe fioccano e noi abbiamo sempre più voglia di farla in barba a questo nostro padre/professore, severo da una parte e incapace dall’altra, che ci tiene in castigo da due mesi e intanto manda a fare la ricreazione quelli che in castigo ci dovrebbero stare per tutto l’anno scolastico.

 

In tasca ricette tutt’altro che urgenti e finte prenotazioni per il take-away di qualche lontanissimo ristorante, ce ne andiamo girando per la città.

E’ ancora bella ma si capisce che fra poco si guasterà, cioè si normalizzerà; e ci troveremo di nuovo davanti a una delle tante nostre contraddizioni.

Si ha voglia di tranquillità e silenzio. Ma appena arrivano, si comincia a smaniare perché non sarà che tutta questa quiete assomiglia a quella eterna? Oppure, costretti a guardarci dentro, ci prende quella inquietudine da cui cerchiamo di fuggire  facendo rumore e agitandoci anche quando non serve.

Noi abbiamo amici che, arrivati alla vecchiaia ci annunciano, saggi, di avere acquistato “sai quel rudere in Umbria in mezzo al verde e lontano dalle macchine? Adesso lo metto a posto e poi ci passerò giorni felici svegliandomi al canto degli uccellini e passeggiando nel bosco. Tanto se voglio venire in città, al massimo mezz’ora da casello a casello…”

E dopo un po’ cominciano a implorare una visita, ci telefonano con qualche trasparentissimo pretesto, ma noi sappiamo che (lì, come qui, ma lì è peggio) è un pomeriggio piovoso e buio di novembre e di passeggiare nei boschi non se ne parla e gli uccellini, che sono meno scemi di loro, se ne sono andati al caldo e al sole. E la mezz’ora da casello a casello sarà anche vera, ma ai caselli bisogna arrivarci. 

Ecco. Almeno la città ti costringe a reagire alla sua stessa nevrosi, e con questo ti obbliga a vivere e a non adagiarti nel lento, dolce fluire delle stagioni, nel ritmo rassicurante delle foglie e dei fiori, perché, rendiamocene conto, il tempo a nostra disposizione non è quello delle natura: è molto ma molto meno e sprecarlo e proprio da stupidi.


Oh, e poi, in tutti questi giorni a nostra forzata disposizione, abbiamo finalmente avuto il tempo di portare a termine un’impresa che ha dell’eroico, e che tenevamo in serbo come un virtuoso programma da realizzare chissà quando.

Mano alla rubrica telefonica, cominciando rigorosamente dalla A, abbiamo chiamato al numero fisso, che, detto fra noi, funziona sempre meglio di quella diavoleria moderna che si chiama telefono cellulare, tutti i nomi che risvegliavano nella nostra memoria echi di antiche amicizie o comunque di simpatie, magari sepolte da mesi o anni di trascuratezza (idraulici e prestatori d’opera vari esclusi, naturalmente).

 

Prima cosa, siamo stati costretti a prendere nota in un colpo solo dei tanti spazi che ci ammiccavano come vuote orbite dalle pagine a causa della dipartita dei loro titolari. Per fortuna negli anni le perdite si erano verificate abbastanza lontane fra loro da permetterci di riprendere fiato e di sopravvivere al memento mori.

E allora, tra mezze ore  di ricordi e informazioni, pettegolezzi lasciati in sospeso, spiegazioni o giustificazioni è stata un’occasione per fare pulizia. Benedetto virus.

E, a proposito di virus, quello che ci ha stupiti, piacevolmente s’intende, è stato constatare che non uno dei nostri amici o conoscenti era malato, o lo era stato, o sospettava di esserlo, o aveva a sua volta parenti e amici malati.

Rapida riflessione: le nostre telefonate sono state un’ottantina; calcolando che ognuno dei nostri ottanta corrispondenti abbia un uguale numero di conoscenze o parentele, si arriva a (ottanta per ottanta) seimilaquattrocento persone che sono una piccola ma non insignificante cittadina italiana.

Nessuno malato. Ma allora, con tutto questo allarme, questa mortificazione della normalità, questa masochistica distruzione del sistema a cui siamo stati e ancora siamo sottoposti, ma non staranno per caso esagerando un poco? 

Complotto?


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Commenti: 1
  • #1

    Lauro Ferrarini (mercoledì, 13 maggio 2020 07:28)

    ..."seimilaquattrocento persone che sono una piccola ma non insignificante cittadina italiana"...

    Gentile Cavaliere,
    anche nella mia piccola cittadina telefonica non abbiamo contagiati.
    Anche se non sono un suo congiunto le invio un abbraccio (virtuale!!! ...da almeno due metri) riservandomi di farle avere autocertificazione scritta che io sono io e altrettanto spero voglia fare lei.
    La seguo sempre con incontaminato piacere.
    Stia bene.