N° 462 - Un Altro Mondo

E’ parecchio che il Cavalier Serpente si è messo a riposo. Un riposo provvisorio: uno o al massimo due mesetti d’estate. Che invece si è prolungato, rischiando di diventare eterno, un po’ per la pigrizia di stagione e molto per la mancanza di argomenti, dato che da qualche tempo la città ci dà davvero poco da raccontare.

 

Abbiamo deciso comunque di risalire in sella. Ed eccoci qua.

Moira. Avevamo sbirciato la notizia scritta in piccolo sui giornali e allora siamo andati a verificare.

Palazzo del Monte; nella matassa di vicoli che riempiono lo spazio intorno a Campo de’ Fiori, che venti secoli fa era il Teatro di Pompeo (incredibile pensare che un intero quartiere medie-vale entri nel perimetro di un teatro romano: mania di grandezza prima, forse; scarsità di mezzi dopo, certo).

Nella sala espositiva del Monte di Pietà ci sono in mostra i gioielli di Moira Orfei.  

E qui ci si è aperto un mondo.

 

Il nome di questa istituzione da sempre si associa nel nostro immaginario a sordide stamberghe, infima miseria, conati di sopravvivenza. I quali avranno colpito, magari con impeto ridotto, anche gli eredi (oggi il circo non va più, nessuno vuole vedere gli animali esibirsi per gli umani, eccetera) che espongono tutta la mirabolante paccottiglia di mamma, o zia, o nonna Moira, prima di metterla all’asta il 29 ottobre. Oggetti che è fin troppo facile immaginare vistosi, appariscenti e di sicuro meno preziosi di quello che vorrebbero sembrare.

Eccone un sobrio esempio qui sopra.

E invece che sorpresa il Monte!

 

L’edificio fuori è dignitosamente barocco e immenso (XVII secolo, Mascherino, Maderno e Borromini); dentro modernissimo ed efficiente, con saloni di esposizione, vetrine e vetrinette, tavoli e salottini, uffici per la valutazione dei preziosi e per le aste, alle quali può partecipare chiunque. E dovunque si aggira una curiosa umanità dall’aria un po’ astuta, un po’ famelica, un po’ smarrita, ma tutti con uno sguardo complice da membri di un’associazione segreta. 

I marmi Torlonia. Ohibò! A questo punto decidiamo di buttarci sulla cultura, quella vera. Prenotazione obbligatoria? Non ce l’abbiamo. Non ci faranno entrare? Proviamoci lo stesso. Come sempre Roma non si smentisce e ci stupisce. Primo pomeriggio di un mercoledì qualsiasi. Biglietteria inaspettatamente libera. L’ingresso alla mostra è il meraviglioso giardino di Villa Caffarelli al Campidoglio, chiuso da decenni, finalmente riaperto, ripulito e riordinato. Deserto! Siamo entrati da padroni di casa, sotto il solicello di ottobre con un’aria tersa e una vista da cartolina su tutta la città.

 

La mostra? Una bulimia di imperatori, ninfe, apolli, uno più bello dell’altro, con il pregio ag-giunto di un impeccabile restauro e fresca pulizia, quindi niente veli di polvere, ragnatele e ombre sui ritratti, che esprimono, candidi, la loro capacità di raccontare i personaggi. Come non rimanere colpiti di fronte al realismo di questo Vitellio? Più che un imperatore, un semplice umano, anziano e grasso.

Ecco, questa mostra è un risarcimento a tutti noi per il furto che abbiamo subito lungo i troppi decenni in cui questi capolavori, una piccola percentuale dell’intera collezione Torlonia, sono rimasti sepolti vivi nelle cantine di uno dei palazzi di famiglia, quello di Via della Lungara, desti-nato dai nobili antenati a nobile sede espositiva dei marmi che i loro furbi discendenti, invece di esporli, hanno rinchiuso in cantina, perché il palazzo lo hanno ristrutturato, ricavandone una moltitudine di appartamentini, probabilmente irregolari ma ottima fonte di reddito.

 

E noi lo sappiamo bene perché anni fa, prima che si trasferisse a Trieste, proprio lì andavamo spesso a trovare l’amico Lelio Luttazzi che ci abitava e ogni volta ci diceva: “Senti che tranquillità, ascolta gli uccellini”. Certo che era tranquillo, con tutti quei cadaveri in cantina.

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