N° 487 - Venezia e l'Harry's Bar

Sempre immerso nei suoi ricordi, il Cavalier Serpente sogna. Sogna una Biennale d’Arte di dieci anni fa: luglio 2011. Venezia: un argomento inesauribile!            

 

Se vi parlano di Piazza San Marco, se vi indicano il Ponte di Rialto, se vi nominano il Canal Grande, non date retta; il monumento più importante di Venezia è l’Harry’s Bar.  Una porticina a molla, durissima, nella quale d’inverno si ingolfano correnti gelate, una saletta che sarà al massimo cinquanta metri quadrati, un bancone vecchio stile con davanti alcuni ambitissimi sgabelli, qualche tavolino e poche sedie. 

Il barman, faccia da Casablanca, che quando entri ti saluta, complice, come se foste commilitoni della legione straniera in licenza premio. Uno sfarfallio di camerieri con giacche bianche su cui, e so-no anni che ci passiamo, non abbiamo mai visto una macchia. Una macchia? Un’ombra! Clienti da tutto il mondo e, a parte i vari bellini e prosecchini, il miglior cocktail Martini dell’universo. Potrebbe bastare, ma ci sono anche quelle polpette croccanti che ti offrono (solo ai più simpatici, ci illudiamo). Però, alle venti e trenta il bar diventa ristorante, e allora, se uno vuole restare a cena passa un attimo in banca e accende un mutuo oppure se ne va. Ma contento.

A Venezia di bello c’è che senza automobili, niente ingorghi. Di auto. Ma ci sono quelli di pe-doni. Ogni tanto  i vigili sono costretti a fare i sensi unici alternati pedonali. Severi, uno all’inizio della calle, uno alla fine, bloccano la gente in una direzione finché il passaggio non si è liberato nell’altra. E con la pioggia gli ombrelli diventano armi da duello.

Comunque, in marcia! Dopo un paio di sere di Martini dell’Harry’s bisogna pur rispondere al richiamo della cultura. E allora via verso i due poli della Biennale: l’Arsenale, cuore guerresco della Serenissima ormai addomesticato a spazio mostre, che comprende le corderie (un immenso stanzone stretto e lungo trecento metri, dove si torcevano le gomene dei galeoni veneziani) e i Giardini, una zona proprio in coda a Venezia (guardare la pianta: la città ha forma di pesce, curiosa coincidenza, no?) dove sono i padiglioni stranieri

Qui si trotta per chilometri, di solito sotto il solleone. Migliaia di persone. Fino all’edizione scorsa c’erano in tutto due gabinetti, ci si può immaginare l’assedio, e le condizioni. Quest’anno è stata aggiunta una fila di otto di quei casotti chimici, più camere a gas che rifugi di confort. E’ vero che ci sarebbe la laguna a due passi, ma farla in acqua, via, non va, soprattutto di giorno, perché poi ti vedono e magari ti prendono per un’istallazione.

Questo è uno dei misteri dei luoghi d’arte, e non solo a Venezia: è una caratteristica nazionale. Mai servizi adeguati. Evidentemente gli organizzatori pensano che gli intellettuali non abbiano bassi bisogni da soddisfare.

Neanche appetiti da placare, però. Perché se uno decide di spostare l’attenzione al livello gastronomico, è anche peggio. File sovietiche davanti a patetici baracchini che forniscono un’alimentazione triste, naturalmente a prezzi allegri. Chissà come mai il concetto che con un buon servizio e dei buoni ingredienti si guadagnerebbe di più, neanche sfiora i gestori. Forse si tratta di una visione cattolica vecchio stampo: tutto quello che è meritorio, la cultura, lo studio, la conoscenza deve essere un sacrificio, e non un piacere. Quindi guai ammettere che dopo una visita alla toilette si possa essere in una condizione migliore per apprezzare un quadro. Così come azzardare che appoggiare le chiappe su sedili confortevoli con davanti qualcosa di buono da mangiare o da bere predi-sponga alla degustazione anche dell’arte.

Per fortuna, alla fine della giornata, chissà come mai, il pensiero volge al desio di quel tale bar dove fanno quel certo cocktail così buono di cui abbiamo parlato prima. E’ giusto, dopo un impegno intellettuale così arduo, e nello stesso tempo vacuo, consolarsi con un bicchiere? Anche due.

 

 

Trilla la sveglia e il sogno finisce. E fuori del sogno stavolta non è cambiato niente: le grandi navi hanno ricominciato a passare davanti a San Marco (avevano minacciato sfracelli!), dopo la pausa Covid, le transumanze dei turisti anche (avevano minacciato il biglietto d’ingresso in città!), ma-gari un po’ più smilze di prima, ma cresceranno e la disneyland in Laguna è sempre lì. E non è cambiato neanche il Cavaliere: un paio di Martini ed è di nuovo pronto a mordere con i suoi denti avvelenati.

Scrivi commento

Commenti: 0