N° 505 - Caro Dio

 “Caro Dio, spero tanto che tu possa proteggere me e la mia famiglia…”

Meravigliosa questa richiesta nel suo indirizzarsi familiarmente al Supremo sul foglio di un qua-derno che sta a disposizione dei fedeli presso la tomba del gesuita padre Felice Cappello, insigne professore di diritto canonico ma soprattutto confessore affettuoso di fedeli, nella chiesa di S. Ignazio.

 

“Apparteneva così poco a sé stesso, anzi niente, ed era istrumento degli altri e per gli altri, da vivere con la pratica persuasione che tutti avessero diritto di ricorrere a lui, di spremere quanto volevano e finché volevano da lui”. Alate parole per ricordare questo sacerdote così umile in una delle più sontuose e colorate chiese di Roma, sotto quel soffitto affrescato in una prospettiva strabiliante dal pittore gesuita Andrea Pozzo, chiaramente concepito per stupire il fedele.

Questo contrasto di povera semplicità e sfarzo lo troviamo non solo nelle chiese di Roma, ma in tutta la città, in cui si affiancano palazzi stupendi e miserabili stamberghe. Basta affacciarsi su Piazza Navona venendo da Corso Vittorio. Il sontuosissimo Palazzo Braschi a sinistra, il più modesto ma sempre raffinatissimo Palazzo Torres a destra, e poi a metà strada ecco il Vicolo della Cuccagna, un vero diverticolo del ventre rognoso della citta, degnamente ornato dalla Locanda della Cuccagna, una catapecchia che sembra uscita dal più cupo Medioevo. Ma piace tanto ai turisti.

 “Cara Sovrintendenza”, (questo non è più un ingenuo fedele che scrive, ma il Cav. Serpente in persona) “spero tanto che tu mi possa spiegare perché ieri mattina alle undici ho trovato il museo di Palazzo Altemps chiuso; e non era lunedì”.

Ho fatto il giro del palazzo in cerca di una spiegazione: niente; l’unico annuncio ai fedeli (dell’arte) che ho visto è stato questo ineffabile cartello appiccicato sul portone sbarrato che dà una serie di stupidi, ovvii, superflui suggerimenti: “state attenti alle scale e alle soglie, non portate scarpe con tacchi troppo alti e neanche infradito” ma dimentica l’informazione più necessaria: l’orario di apertura e chiusura del museo.

Ma niente paura: quello che non arriva dalle istituzioni lo forniscono i dipendenti, talvolta perplessi ma sempre gentili.

 

Appurato da un guardiano che si entra alle due, torniamo nel pomeriggio e ci facciamo un giro in quello che a nostro parere è uno dei meglio concepiti musei di Roma. Palazzo magnifico, bene il-luminato, con bellissime, selezionate e poche, soprattutto poche opere, in modo da non cadere vitti-ma di bulimia d’arte (come succede ai Musei Vaticani).

Ma se ci salviamo dall’indigestione, una coltellata al cuore ci stende ogni volta che capitiamo nella sala dove è esposta questa meravigliosa Lucilla (la figlia di Marco Aurelio), di sicuro scambiata per una dea pagana e quindi debitamente sfregiata a colpi di mazza da qualche fanatico cristiano, di quelli che, appena diventata abbastanza forte la loro religione, si erano scatenati a distruggere tutto ciò che ricordava il passato, o che era semplicemente bello (da leggere il molto istruttivo e molto or-ripilante “Nel nome della croce – La distruzione cristiana del mondo classico” di Catherine Nixey). 

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