N° 511 - Cold Case - Scandali: Quarta Udienza

Siamo arrivati a oggi e non è cambiato niente.

Primo scandalo: I Marmi Torlonia.

Come sempre Roma non si smentisce e ci stupisce. L’ingresso alla mostra, quella appunto dei Marmi Torlonia, è nel meraviglioso giardino di Villa Caffarelli al Campidoglio, chiuso da anni, finalmente riaperto, ripulito e riordinato. C’è un bel solicello di ottobre con un’aria tersa e una vista da cartolina su tutta la città.

Una bulimia di imperatori, ninfe, satiri, uno più bello dell’altro, con il pregio aggiunto di un accurato restauro e fresca pulizia, quindi niente veli di polvere, ragnatele e ombre sui ritratti, che tra-smettono, candidi, la loro capacità di raccontare le persone. Come non rimanere colpiti di fronte al realismo di questo busto di vecchio, anche se nemmeno sappiamo chi è?

Ecco come i ricchissimi capostipiti Torlonia, neanche due secoli fa, avevano trovato il modo di diventare i maggiori collezionisti di Roma: finanziavano con grandi somme i discendenti (bisognosi e di solito del tutto incapaci di amministrarsi) delle altre nobili e più antiche famiglie, e nel momento in cui questi si trovavano in difficoltà per la restituzione, si facevano saldare in palazzi, terreni e raccolte d’arte. Prestito finalizzato all’accumulo artistico compulsivo.

Non molto corretto, ma non arriveremmo a definirlo uno scandalo: in fondo si trattava solo di finanza disinvolta. E soprattutto nessuno finiva realmente sul lastrico.

Il vero scandalo è il furto di bellezza che abbiamo subito tutti noi nei troppi decenni in cui questi capolavori che vediamo oggi sono rimasti sepolti vivi insieme al resto della collezione Torlonia (di cui sono una piccola parte) nei sotterranei di uno dei palazzi di famiglia.

Quello di Via della Lungara, destinato dagli antenati a museo per ospitare i marmi, che i furbi discendenti hanno invece rinchiusi in cantina, perché il palazzo lo hanno ristrutturato, ricavandone una moltitudine di civettuoli appartamentini, inopportuni ma certo di ottimo reddito.

 

E noi lo sappiamo bene perché anni fa, prima che si trasferisse a Trieste, proprio lì andavamo a trovare l’amico Lelio Luttazzi, che ci abitava e ci diceva: “Ascolta gli uccellini in giardino, senti che tranquillità”. Certo che era tranquillo, con tutti quei cadaveri in cantina.

Secondo scandalo: Porta Maggiore.

Ad Spem Veterem, era il nome della zona di Roma imperiale dove arrivavano, si mescolavano, si scavalcavano, si intrecciavano la maggior parte degli acquedotti che portavano in città una quantità esagerata di acqua dai colli a sud est, correndo sotto terra, su ponti, su arcate, con un insieme, ancora in parte visibile, di affascinanti strutture architettoniche.

 

Bene, questa stazione di arrivo e di incrocio delle acque antiche è oggi Piazza di Porta Maggiore, un clamoroso insieme di archi trionfali, pilastri di tufo, mura Aureliane, spechi visibili fra i mattoni, basolato antico. Insomma, quello che potrebbe essere un parco archeologico assolutamente unico. 

Solo che, ecco lo scandalo, si è permesso che il monumentale incrocio degli acquedotti si facesse ingarbugliare in un gomitolo di auto, moto, bus, tram e trenini, alcuni dei quali vetusti quasi quanto le mura sotto cui passano, fischiando ancora come le vaporiere dell’ottocento.

Poteva anche uscirne una esemplare convivenza di antico e (quasi) moderno. Invece la piazza è diventata una specie di anticamera urbana per extracomunitari indigenti e sottoproletari nostrani, un limbo male frequentato, e ridotto più o meno a una discarica.

 

Gli archi della porta sono, per fortuna, ancora in piedi ma svettano in una prateria selvaggia, da film western, attualizzato dai soliti, ubiqui cartoni di vinaccio.

Tutto intorno un infernale carosello di traffico puzzolente che a sua volta isola angoli altrettanto puzzolenti, albergo di luride cucce dove dormono, mangiano, evacuano in totale libertà esemplari di quell’umanità dolente che sempre si ammucchia ai margini della città, di una città che una volta era imperiale e adesso, da quelle parti, è solo banale.

 

(Ci sentiamo però in obbligo di aggiungere che è possibile che davanti a quei marmi ci si faccia abbagliare dal mito di venti secoli fa. Forse anche allora era come adesso: traffico intenso - di carri e buoi, se non di auto - straccioni e miseria diffusa. Ma noi non c’eravamo e le puzze non le sentivamo).

Scrivi commento

Commenti: 0