N° 499 - Un'astronave in periferia (Replica dal passato)

18 febbraio 2019. Lontana, in periferia, fra il GRA, Porta di Roma e Ikea, puntata verso l’alto dei cieli e pronta a decollare, s’intravede questa inquietante astronave.

Il terreno è immenso, meticolosamente seminato di fiorellini, pianticelle, alberelli e praticelli verdi, tutto nuovissimo e pulitissimo. La mattina è scintillante di sole e aria fresca. Il parcheggio di ghiaia bianchissima è impeccabile; ogni dieci metri un signore in giacca e cravatta, con sopra il gilet arancione dei poliziotti del traffico, saluta, aiuta a sistemare l’auto, ringrazia il visitatore per essere venuto fin lì e gli augura ogni bene.

Tutti con accento americano, efficientissimi e cortesi. Ci si sente ammessi in un paradiso USA. Impressione rinforzata quando entriamo nell’edificio e, mentre scorre un video di interviste a fedeli tutti felici e realizzati, con accompagnamento di celestiali arpe e flauti, veniamo affidati a una guida che ci fa indossare delle soprascarpe di plastica perché i tappeti che ricoprono i pavimenti sono immacolati e guai a lasciarci l’ombra di una impronta. E poi via per la visita guidata del tempio.

La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni apre al pubblico per un breve periodo il nuovissimo, grandissimo, bellissimo e costosissimo tempio italiano, appena finito di costruire e arredare ma non ancora consacrato ufficialmente. Noi gente comune abbiamo questi pochi giorni, poi tutto sarà riservato solo ai fedeli.

Non vogliamo entrare nella faccenda dal punto di vista ideologico. Certo è che l’impressione nel sentir parlare i padroni di casa, che poi sono i Mormoni, o nel guardarli in faccia è che abbiano risolto tutti i loro problemi e che ognuno di loro sia animato da un irresistibile desiderio di comunicarci quanto è felice.

Da profani ci limiteremo a descrivere la nostra camminata su e giù per le scale e i pavimenti di marmo (Perlato Svevo italiano, Cenia spagnolo, Sky Lark brasiliano, Emperador Light turco, e Travertino Beige, dice la scheda), il nostro procedere in stanze moquettatissime (da Bentley, California) e arredate con poltroncine e scrivanie stile Luigi XVI, XV e magari anche XIV, e fonti battesimali in bronzo, e inginocchiatoi trapuntati, e lampadari di Murano o Swarovski, e fasce decorative in oro a 24 k. E’ come stare in un albergo americano di buon confort ma molto, molto kitsch.

E poi profusione di grandi mazzi di fiori finti, di specchi da parete a parete, di quadri di soggetto sacro o naturalistico alla Disney: profeti, peccatori pentiti, cerbiatti, cascatelle, bambini, fiori e ruscelli. Naturalmente in sottofondo musica d’organo, molto discreta.

Ci stupisce che all’interno di un edificio così grande non ci sia nessuno spazio profondo e alto, come nelle nostre chiese. Ci sono invece tanti piani con tanti corridoi e tante stanze, una per i matrimoni, una per la meditazione, una per guardare il futuro e il passato (attraverso un gioco di specchi), una per i battesimi…

Niente da dire, ci mancherebbe: ognuno si organizza e arreda come crede.

La visita guidata termina e finalmente ci fanno togliere le soprascarpe. E’ passata un’oretta e siamo pronti a guizzare via.

Sennonché, pochi metri prima dell’uscita, sotto il tetto metallico e sullo sfondo delle vetrate ultramoderne, ecco un’inverosimile costruzione che colpisce i nostri occhi esterrefatti.

Uno degli accompagnatori, anche lui in giacca e cravatta e accento americano, richiesto di una spiegazione sulla casetta finto antica dichiara che è lì come simbolo della famiglia, valore fondante della loro religione.

E siccome stiamo a Roma, è una vecchia casetta popolare dei tempi del Papa Re (con una spruzzata di Tirolo): un po’ scrostata, spigoli in pietra, fiorellini alle finestre e persiane verdi, sereno rifugio della presunta tipica famiglia romana di allora: tipicamente povera, tipicamente religiosa e tipicamente onesta. Tipicamente esemplare.

Dopo tutta questa melassa ci è sembrato indispensabile riprendere contatto con la realtà davanti a un piatto di bucatini ben piccanti e ben salati, anche loro esemplari ma, diremmo, in un senso tipicamente diverso.

 

Però, fra una forchettata e l’altra continua a incalzarci una domanda: come fanno questi devoti, che non glie ne va mai male una? Sorridenti, appagati, sicuri. Sempre. Come fanno?

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