N° 515 - Buona condotta

Dove ci eravamo lasciati? Ah sì, il 18 dicembre con la conclusione del processo e la condanna di Roma per il reato di leso cittadino.

Beh, è passato un mese e con l’anno nuovo ci siamo messi alla caccia di qualche testimonianza di buona condotta da parte della Rea Roma.

Arriva l’occasione con la mostra “Giacomo Boni – L’alba della modernità” al Foro Romano e al Palatino.

 

Ci ricevono all’entrata i simboli riconosciuti dell’antichità romana: il marmo e l’acanto. Sole quasi primaverile e foglie di un bel verde tenero. La mostra è in onore dell’archeologo che, pur fra molte contestazioni, tirò fuori da sotto terra una buona parte della storia di Roma. Vari sono i luoghi dove è ricordato: il Tempio di Romolo, quello di Venere e Roma, mai visto finora, e il convento di S. Francesca Romana, convertito in museo con una ricca esposizione di pezzi trovati negli scavi, più la proiezione di un interessante ma discutibile documentario di immagini, didascalie e suoni sul lavoro di Boni (secondo una sua dichiarazione, giudicato demenziale dai contemporanei).

Insieme all’ammirazione dobbiamo confessare di essere caduti vittima di un bieco sentimento di invidia nei confronti del Professore, il quale, nei molti anni in cui scavò fra le rovine, non solo trovò conferme alle sue ardite teorie, che è una bella soddisfazione, ma riuscì anche a farsi allestire uno sciccosissimo studio dentro l’Uccelliera Farnese (ricostruito nella mostra, con belle opere di Cambellotti e Sartorio) e a impiantare un magnifico roseto, in mezzo al quale c’è la sua sobria tomba.

 

Insomma, a fine visita dobbiamo ammettere che dall’ultima volta, neanche troppo tempo fa, abbiamo trovato tutto molto più curato, pulito e bene organizzato. Nuovi spazi aperti, lavori in corso che fanno ben sperare per il futuro e ampi settori dei giardini Farnese ben curati, erba rasata, fiori freschi e perfino una grande fontana funzionante, con musica di Beethoven in sottofondo. 

Tutto bene? Certo, ma che Serpente sarebbe il Cavaliere se non avesse tenuto da parte alcune osservazioni leggermente avvelenate per concludere la sua relazione? Eccole.

 

Proviamo a entrare. Gli accessi all’area sono quattro (teoricamente). In realtà da due si esce soltanto: Salara Vecchia e San Gregorio, da un altro, Colonna Traiana, si entra, sì, ma guai a volere tornare indietro, non si può, neanche morti, perché il percorso è a senso unico e il ritorno al mondo contemporaneo avviene solo attraverso un cancelletto a metà di Via dei Fori Imperiali. Nel quarto, Arco di Tito, l’unico funzionante a doppio senso, c’è naturalmente una coda chilometrica. Tutto questo, ci hanno spiegato, è a causa dell’emergenza virus. Malgrado la giustificazione il nesso ci sfugge.

Comunque siamo dentro e qui ecco un altro problema: la musica di sottofondo del video, che, montato con bei filmati d’epoca alternati a didascalie in stile, avrebbe potuto rimanere muto; invece è appestato dal primo all’ultimo fotogramma da quel tipo di musica genericamente definita arcaica (che ne sappiamo noi nel duemila di com’era la musica degli antichi romani?): pifferi, arpe, archi senza vibrato, tamburelli e crotali. Insopportabile, anche perché il video passa in loop e non è possibile sfuggire al tormentone acustico.

E concludiamo in bellezza con questo campioncino di inglese maccheronico, condimento che non manca quasi mai nei piatti, spesso appetitosi come questo di oggi, che ci offre la Sovrintendenza. (Possibile che negli uffici non riescano a trovare qualcuno che sappia le lingue, disponibile a buttare un occhio sui cartelli prima di esporli?) 

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