N° 517 - Politically correct

“Di cervello terribile e dedito principalmente a questionare e a giocare a carte”.

Grande, grosso e tardivo (quando nasce, nel 1550, la madre ha già sessant’anni) comincia litigando con tutti i compagni di giochi, che picchia regolarmente; poi, appena ha l’età si arruola come soldato di ventura. Ideologia zero; bisogno di soldi illimitato perché tra i tanti altri ha anche il vizio del gioco. Tutto quello che guadagna se lo gioca, ed essendone malato, anche se vince, poi se lo rigioca e alla fine, come è noto, quel tipo di giocatore perde sempre.

Finalmente (come usava dire allora) piace a Dio di mandargli la piaga. Una piccola ulcera a un piede, che a forza di grattarla e con le condizioni igieniche dell’epoca, degenera in cancrena. Si ricovera all’ospedale degli incurabili di S. Giacomo, dove fa voto alla Madonna di abbandonare il gioco se lei lo guarisce.

La Madonna è di parola, lui no. Si ridà alle carte, riperde tutto, finisce a mendicare per strada e, giustamente in quanto recidivo, piace a Dio di rimandargli la piaga. Nuovo ricovero, sempre allo stesso ospedale. Guarisce ancora, ma stavolta il messaggio arriva. Dopo la seconda grazia divina rimane all’ospedale come inserviente, e qui si rende conto delle terribili condizioni dei malati che raramente si salvavano, più spesso morivano, proprio a causa del ricovero.

Si fa sacerdote, organizza un nuovo sistema di assistenza, che ancora funziona; diventa perfino santo nonché patrono dei malati, degli infermieri e degli ospedali, tanto è vero che ce n’è uno dedicato a lui, proprio a Roma. Fine della storia.

Questo bel tomo è Camillo De Lellis e questa bella coppia (scheletro + manichino) è proprio lui in (come si usa dire) carne e ossa. La carne è naturalmente finta, le ossa pare che invece siano proprio le sue. 

A tutti visibile nella chiesa di S. Maria Maddalena. Fino a poco tempo fa in una teca a due livelli, sapientemente progettata, con, al ripiano di sopra, in penombra, la sua perfetta figura in cera. La testa appoggiata su due candidi cuscini, il corpo avvolto in un sontuoso mantello, i piedi calzati in scarpe dall’aspetto forse un po’ troppo moderno (sembrano mocassini inglesi).

A quello di sotto, la sorpresa: brillantemente illuminato, ecco lo scheletro completo, ben composto e lucido, del suddetto. Come avranno fatto a ritrovarselo in così buone condizioni?

 

Seguendo, ci scommettiamo, la ricetta in uso a quei tempi per ricavare preziose, incorruttibili reliquie di santi o imperatori. Non esitavano a buttarli (da morti, si spera) in un pentolone e a farli bollire finché tutta la carne si staccava lasciando l’osso spolpato, presentabile e venerabile. Un pollo da brodo.

Siamo ripassati recentemente da quelle parti: tutto cambiato. Anche in chiesa regna il politically correct. Niente scheletro, che potrebbe fare impressione a qualcuno; solo il pupazzo perché tutti devono stare tranquilli.

C’è da chiedersi in quale armadio di quale sacrestia finiranno tutti quei bei teschi di marmo, quei bei femori incrociati di bronzo, quegli scheletri affrescati, quelle clessidre in evidenza che la Chiesa ha finora distribuito con grande generosità dovunque era possibile piazzarli come memento per i fedeli che “tempus fugit” e non si scappa: prima o poi ci tocca a tutti.

 

 

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