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La lapide: uno per prima cosa pensa al cimitero, poi pensa a qualche avvenimento storico da commemorare, poi a Garibaldi, il quale avrebbe dovuto campare più di un secolo per riuscire a dormire in tutti i letti che, secondo le lapidi che lo citano, lo hanno accolto in giro per l’Italia.
No, basta passeggiare per Roma col naso all’in su (o all’in giù, secondo i casi) e ci si può sbizzarrire a indovinare l’epoca della creazione, le inclinazioni e le debolezze dell’autore o del destinata-rio dei messaggi incisi nel marmo.
Questo primo, per esempio, che orna il pavimento della chiesa di S. Pietro in Carcere, è così smaccatamente umile nel suo messaggio: “QUI GIACE QUEL MASSIMO PECCATORE, CHE FU CANONICO DI QUESTA CHIESA…” da risultare ridicolmente presuntuoso. “Era talmente importante da non ritenere necessario scrivere il suo nome!?”
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Qui invece si chiarisce la destinazione d’uso dell’istituto (il carcere femminile di San Michele a Ripa Grande). Che è ben chiara sulla lapide: “PER REPRIMERE LA SFRENATEZZA DELLE DONNE…” Probabilmente povere ragazze costrette alla prostituzione dalla miseria, che quel morali-sta ambivalente di Clemente XII considerava meritevoli solo del carcere e non della scuola.
Ambivalente, il nostro, perché, mentre da una parte reprimeva, dall’altra aveva rimesso in fun-zione il gioco del lotto con la scusa che gli introiti di questo immorale sfruttamento del popolo gli servivano per fare opere morali.
Morali o no, fra i suoi meriti ci fu quello di iniziare la costruzione della Fontana di Trevi.
Mica poco.
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Ecco, rimanendo sulla stessa riva del fiume, una onesta e franca dichiarazione di orgoglio professionale.
A Santa Maria dell’Orto i pizzicaroli di Trastevere comprano una bella cripta per seppellirci i soci della confraternita. L’avranno certamente pagata una rispettabile cifra e, giustamente, si fanno pubblicità con una scritta sul marmo a grandi caratteri.
Niente di male, anche perché nella stessa chiesa molte sono le lapidi simili, dedicate ognuna a una associazione di onesti e umili lavoratori: i fruttaroli, i vignaioli, i vermicellai, i pollaroli, eccetera eccetera
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Siamo al Borgo medievale di Ostia antica. Vicino alla chiesa di Sant’Aurea, appoggiata a un muro c’è questa fronte di sarcofago che ricorda la defunta Tutilia, il di lei padre, la di lei madre e poi, qui deve esserci sotto una tragedia a fosche tinte, perché il nome, o i nomi che seguivano nell’originale sono stati violentemente scalpellati (è la damnatio memoriae di epoca romana) per can-cellarli dal ricordo dei vivi. Cosa mai sarà successo?
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Con quest’ultima sprofondiamo nella pomposità postbarocca dell’epoca. Certamente far scolpire ogni lettera di ogni parola costava qualcosa, eppure, anche solo per regolamentare l’immondezza in città, quale esagerazione di parole; quanti illustrissimi e reverendissimi sprecati, e quante ripetizioni dello stesso concetto, quando sarebbero bastate due righe: “Vietato gettare immondezza. Multa di 10 bajocchi”!
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