N° 520 - Lapidi

La lapide: uno per prima cosa pensa al cimitero, poi pensa a qualche avvenimento storico da commemorare, poi a Garibaldi, il quale avrebbe dovuto campare più di un secolo per riuscire a dormire in tutti i letti che, secondo le lapidi che lo citano, lo hanno accolto in giro per l’Italia.

No, basta passeggiare per Roma col naso all’in su (o all’in giù, secondo i casi) e ci si può sbizzarrire a indovinare l’epoca della creazione, le inclinazioni e le debolezze dell’autore o del destinata-rio dei messaggi incisi nel marmo.

 

Questo primo, per esempio, che orna il pavimento della chiesa di S. Pietro in Carcere, è così smaccatamente umile nel suo messaggio: “QUI GIACE QUEL MASSIMO PECCATORE, CHE FU CANONICO DI QUESTA CHIESA…” da risultare ridicolmente presuntuoso. “Era talmente importante da non ritenere necessario scrivere il suo nome!?”

Qui invece si chiarisce la destinazione d’uso dell’istituto (il carcere femminile di San Michele a Ripa Grande). Che è ben chiara sulla lapide: “PER REPRIMERE LA SFRENATEZZA DELLE DONNE…” Probabilmente povere ragazze costrette alla prostituzione dalla miseria, che quel morali-sta ambivalente di Clemente XII considerava meritevoli solo del carcere e non della scuola.

Ambivalente, il nostro, perché, mentre da una parte reprimeva, dall’altra aveva rimesso in fun-zione il gioco del lotto con la scusa che gli introiti di questo immorale sfruttamento del popolo gli servivano per fare opere morali.

Morali o no, fra i suoi meriti ci fu quello di iniziare la costruzione della Fontana di Trevi.

 

Mica poco.

Ecco, rimanendo sulla stessa riva del fiume, una onesta e franca dichiarazione di orgoglio professionale.

A Santa Maria dell’Orto i pizzicaroli di Trastevere comprano una bella cripta per seppellirci i soci della confraternita. L’avranno certamente pagata una rispettabile cifra e, giustamente, si fanno pubblicità con una scritta sul marmo a grandi caratteri.

 

Niente di male, anche perché nella stessa chiesa molte sono le lapidi simili, dedicate ognuna a una associazione di onesti e umili lavoratori: i fruttaroli, i vignaioli, i vermicellai, i pollaroli, eccetera eccetera

Siamo al Borgo medievale di Ostia antica. Vicino alla chiesa di Sant’Aurea, appoggiata a un muro c’è questa fronte di sarcofago che ricorda la defunta Tutilia, il di lei padre, la di lei madre e poi, qui deve esserci sotto una tragedia a fosche tinte, perché il nome, o i nomi che seguivano nell’originale sono stati violentemente scalpellati (è la damnatio memoriae di epoca romana) per can-cellarli dal ricordo dei vivi. Cosa mai sarà successo?

Con quest’ultima sprofondiamo nella pomposità postbarocca dell’epoca. Certamente far scolpire ogni lettera di ogni parola costava qualcosa, eppure, anche solo per regolamentare l’immondezza in città, quale esagerazione di parole; quanti illustrissimi e reverendissimi sprecati, e quante ripetizioni dello stesso concetto, quando sarebbero bastate due righe: “Vietato gettare immondezza. Multa di 10 bajocchi”!

 

 

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