N° 530 - Anche i Santi giacciono

Anche i Santi e i Beati giacciono; nel senso che spesso li sorprendiamo adagiati su un pagliericcio di fortuna, su un letto di marmo, su un divanetto imbottito.

C’è qualcosa di sorprendente in queste figure che vediamo in giro per le chiese di Roma. In qualche modo sembra che abbiano rinunciato alla loro nobile postura eretta di difensori della fede, di protettori delle umane debolezze, di tramite con il supremo.

 

Ci sono quelli che se ne stanno impettiti nel rigor mortis, quelli belli e sereni a dormicchiare nella pace del Signore, quelli che invece si contorcono su un letto di dolore, e poi ci sono anche quelli (più che altro quelle) le cui contorsioni e i dolori sembrano proprio speciali.

Cominciamo con un Santo di scarsissimo appeal e notorietà: si tratta di San Carlo da Sezze, contadino, ortolano e portinaio del suo convento. Mai sentito, vero? Eccolo là, sul suo sofà, con un modestissimo saio, però con una bella tendina ricamata e una pia espressione di rassegnazione. Chiesa di S. Francesco a Ripa.

Invece questo austero signore in gran tenuta, colorito verdastro ed espressione decisamente grifagna, con le mani più che congiunte in preghiera, contratte in una posa di stizzoso imperio, altri non è che il Beato Angelo Paoli, che riempie con la sua imponente presenza una teca di cristallo a S. Martino ai Monti. Benefattore dei poveri, di lui si dice che nutriva ogni giorno almeno trecento affamati. 

E adesso, con un monumento particolarissimo, veniamo a presentare un Santo specialissimo: San Stanislao Kostka. Questo giovanotto, scolpito in marmo nero e bianco, sdraiato su un giaciglio di giallo antico con sotto uno scendiletto di alabastro, è un gesuita polacco, morto quattro secoli fa ad appena diciott’anni, consumato dal fuoco della santa passione (e dalla tisi).

 

La sua stupefacente statua la si può andare a trovare arrampicandosi fino alle soffitte sopra la sacrestia della chiesa di S. Andrea al Quirinale, in una cappellina strapiena di panneggi, dorature e stucchi che più barocca non si può. 

Sull’Appia Antica, invece, dalle parti di Cecilia Metella, lo troviamo trafitto dalle frecce, contorto in uno spasmo di dolore quasi estatico e, (la foto è recentissima) ornato da una allusiva anche se incongrua bandiera ucraina. E’ lui, l’icona gay più nota nella storia dell’arte: San Sebastiano. Naturalmente nell’omonima chiesa alle Catacombe.

 La sua classica posizione di accoglimento mistico del dardo che penetra la carne, non può non portarci per associazione a S. Francesco a Ripa, dalla Beata Albertoni, la quale, anche se non colpita da nessuna visibile arma, cade vittima della stessa estasi.

 

Ci e vi risparmiamo l’ovvio supremo esempio, quella di Santa Teresa, nella chiesa di S. Maria della Vittoria. Contiamo sul fatto che tutti l’abbiano vista. Per la maggior gloria della Santa, ma anche del Bernini.

E finalmente, dopo questo trionfo di cere e di marmi, ecco a voi San Camillo De Lellis, che ci riceve nella sua chiesa, la Maddalena, apparecchiato in un look decisamente e naturalisticamente essenziale.

Con lui il problema di rappresentare il santo giacente è, diremmo, ridotto all’osso

 

 

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