N° 569 - Professioni scomparse

Il Puntatore. Da anni, anzi decenni frequentiamo il mondo della musica, leggera e classica, e mai ci era capitato di incontrare questa figura: il puntatore.

Siamo a cavallo fra il sei e il settecento e dovunque fiorisce una quantità di cappelle musicali che oggi neanche ce le sogniamo. Cantare in un coro è ambizione di molti e soprattutto è un’attività che garantisce un salario sicuro in quei tempi difficili, anche perché, non essendo ammesse le donne, c’è posto pure per i ragazzi (e forse per qualche castrato in incognito).

La cappella musicale è composta dall’organista, dal coro e dal Maestro di Cappella. Accanto a questi, nominato a turno fra i cantori c’è il nostro personaggio, oscuro ma di grande potere: appunto il puntatore. Il suo ruolo è segnalare tutti coloro che trasgrediscono le regole e darne nota al camerlengo, il quale, “avanti di pagare il mese”, detrae l’ammontare della multa dal salario.

E le trasgressioni possono essere tantissime in un regolamento rigido e minuzioso. Rileggiamone alcuni articoli nel linguaggio pomposo e un po’ ridicolo del tempo, sempre tenendo presente che “se alcuno per domandar gratia a un prencipe mondano studia di compor se stesso & le sue parole con habito onesto, gesti decenti, parlar moderato, distintamente e con attentione, con tanta maggior diligenza in luogo sacro ciò convien di fare in pregare l’onnipotente Iddio”. Perciò:

“Non cominciar il versetto sin che l’altro non sia finito, et quelli che contrafaranno saranno multati in baiocchi cinque per ciascuna volta”.

“Nessuno dovrà tenere le labbra serrate, ma tutti nei salmi, hinni et cantici con allegrezza spirituale mandar voci di laude al signor Iddio, sotto pena di esser multati come absenti”.

“Quando si dice il Gloria Patri ogn’uno si cavi la beretta et inchini divotamente il capo”.

“Nessuno di essi cantori o cappellani debba partirsi di Choro (mentre durano li divini uffitij) senza espressa licenza, et al puntatore che altrimente concederà tal licenza, in giulij due per ciascuna volta”.

“Non vadino né stiano senza cotta et veste longa et habito clericale, etiam che fosse il giorno over la settimana sua vacante, sotto pena di giuli due per ciascuna volta; et stiano con quella gravità che si richiede, non confabulando o parlando insieme, sotto pena d’un giulio per ciascuna volta; et finiti gli uffitij divini ritornino a spogliarsi senza tumulto ne i luoghi loro ordinarij, sotto pena di baiocchi cinque per ciascuna volta”.

E c’è anche un premio per la delazione:

 

“Per la lor fatica i detti puntatori habbino, oltre la rata loro, a ragione del cinque per cento”.

Il Castrato. Gli amici gastronomi non ci fraintendano: non è a loro che ci rivolgiamo per descrivere le delizie di un gustoso animale che spesso frequenta le nostre tavole: braciolette, carrè, sella. Non a loro parliamo, ma agli amanti dell’opera; e le delizie a cui ci riferiamo non sono per le papille gustative ma per i timpani.

 Si chiamavano Farinelli o Pacchierotti, erano stati evirati da piccoli in modo da bloccargli la muta della voce, ma non la crescita del corpo. Così da grandi sviluppavano un’emissione imitabile con il falsetto, ma certamente ineguagliata come timbro e potenza. Insomma, uno strumento fra la voce bianca e quella femminile, ma servito dal potente mantice dei polmoni di un uomo adulto. Erano amati, ammirati, applauditi dappertutto. Le rockstar del settecento. Nessun solista ha mai raggiunto la fama e la ricchezza di questi personaggi, che però, per arrivarci, avevano dovuto pagare un prezzo, diciamo così, un po’ salato. E non smettevano di pagarlo, facendo talvolta la triste fine dei fenomeni da baraccone. 

Questo intervento era deciso non certo dal ragazzo, ma dai suoi genitori, nonni, tutori. Ed è umano che, una volta diventati famosi, tutti cercassero di spiegare, nella vita o nelle autobiografie, una situazione scabrosa come la loro con storie di cure mal condotte o accidenti fantasiosi se non addirittura inverosimili.

D’altra parte, pensiamo a quelle migliaia di ragazzini che, per colpa dei genitori, lo stesso prezzo lo pagavano ma senza avere in cambio il successo. E’ che all’epoca, per molte famiglie povere con un figlio minimamente dotato per la musica, questa era una delle poche speranze di sistemarsi.

 

Col tempo questa pratica incivile è stata abolita. Però, da appassionati, a noi rimane lo scontento di non aver mai potuto ascoltare direttamente quei fenomeni. Pazienza. 

Detto questo, venisse a qualcuno la perniciosa idea di andare a sentire l’unica registrazione esistente (inizio ‘900) di un castrato, su You Tube c’è Alessandro Moreschi, l’ultimo sopravvissuto della categoria. Ammesso che sia autentica, è orripilante. Sembra di ascoltare una comare di mezza età, ubriaca e anche un po’ stonata. Forse è colpa dell’arcaicità dell’incisione, comunque consigliamo vivamente di soprassedere se si vuole tenere vivo il mito.

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