N° 591 - Microbiografie Irrispettose Giovanni Paisiello 1740 - 1816

          

Nasce a Taranto, figlio di Francesco, stimato veterinario al servizio di Carlo III, Re di Napoli. A otto anni entra nel Collegio dei Gesuiti di Taranto con obiettivo (non suo ma dei suoi genitori) la carriera giuridica. Ma presto rivela un orecchio finissimo e una bella vocina, così gli amici di famiglia convincono papà Paisiello a mandarlo a studiare musica a Napoli.

E per fortuna, perché in quell’epoca i bambini con belle vocine e buona disposizione per la musica rischiavano di essere simpaticamente castrati nella speranza di farne musici di successo. Lui la scampa.

A 13 anni Giovanni entra al Conservatorio di S. Onofrio. Diventato mastricello nel 1759, comincia a sfornare il flusso ininterrotto di opere e operine che riempiranno fino all’orlo la sua carriera.

In viaggio fin da subito, nel ’63 a Bologna e poi a Modena si fa apprezzare per il suo spirito e la vena melodica. Passa da Roma, mette in scena al Teatro Valle “La Finta Contessa”, e prosegue per rientrare a Napoli, dove riceve dai Borboni una quantità di commissioni per la Reggia di Caserta e il San Carlo.

 

Nel ’68 troviamo Paisiello nei pasticci per un episodio grottesco ma anche vagamente rischioso. A fine agosto il nostro maestro indirizza una supplica al Re per dribblare il matrimonio con una Cecilia Pallini, finta vedova e priva di dote, a cui si era promesso. Perde la causa e da una relazione della polizia sappiamo che il 14 settembre è costretto a sposare la furba Pallini nel carcere di S. Giacomo degli Spagnoli dove lo hanno rinchiuso per farlo ragionare.

Sempre a Napoli, altro fatto non chiarito: dopo cinque acclamatissime repliche del “Socrate” al Teatro Nuovo, Re Ferdinando IV ne vieta le rappresentazioni. Censura politica o baruffe interne fra impresari trafficoni?

 

Nel 1776, conclusi gli impegni in Italia, Paisiello parte per San Pietroburgo come direttore triennale degli spettacoli alla corte della zarina Caterina II, con un salario di 9.000 rubli l’anno. Diventa anche insegnante di musica della Granduchessa Maria Fjodorovna, moglie dell’erede al trono e per un certo periodo si dedica alla composizione di brani strumentali, mettendo da parte l’opera (anche e soprattutto per l’assenza alla corte di San Pietroburgo di un librettista italiano all’altezza della situazione).

Nel 1784 lascia la Russia per tornare a Napoli e durante il viaggio (immaginiamo un San Pietroburgo – Napoli come un’infernale odissea, dati i mezzi e il confort dell’epoca – eppure molti affrontavano questi percorsi eterni come niente fosse) si ferma un attimo a Vienna per mettere in scena, senza troppo successo, la ripresa di una sua vecchia opera. Fra il pubblico c’è Mozart, che già l’anno prima aveva assistito al Barbiere di Siviglia (e infatti lo zampino di Paisiello si farà vivo nelle Nozze di Figaro e nel Don Giovanni).

A fine ottobre ’84 arriva a Napoli, dove si mette subito al lavoro. Osa chiedere e, quello che conta, riesce a ottenere un privilegio che i suoi colleghi neanche se lo sognano: una pensione fissa di 100 ducati al mese, che gli garantisce una bella tranquillità, insieme allo stipendio di 240 ducati annui come maestro della Real Camera. In cambio deve rimanere da quelle parti e produrre per il San Carlo un dramma ogni anno. Ma…

…ma nel 1798 anche quelle parti sono sconvolte dalla storia quando il 1 dicembre la Corte salpa precipitosamente verso la Sicilia per sfuggire all’invasione francese. Paisiello rimane, convinto che la sua fama lo proteggerà; infatti il 4 maggio ’99 è nominato Maestro di Cappella della Repubblica Napoletana. Ma dura poco e al ritorno dei Borbone, finisce in castigo fino al 7 luglio 1801.

 

Grande cambiamento di vita, di panorama e di abitudini nell’aprile del 1802, quando l’ex Maestro di Cappella di Napoli arriva a Parigi, convocato per i festeggiamenti di Napoleone.

Il quale è un suo sfrenato fan addirittura dal 1797 e lo tratta con imperiale magnificenza dandogli l’incarico di direttore della musica di corte e uno stratosferico stipendio di 10.000 franchi, più 4.800 per le spese. Tanto lo ammira che appena arrivato a Parigi gli chiede di comporre un’opera, una “tragedie lyrique”, compito che Paisiello (malgrado il genere non sia nelle sue corde, ma ricordiamoci che è napoletano) assolve brillantissimamente. A metà 1804 torna a casa.

 

Nella Napoli di Murat, fino al 1815, Paisiello vive nel lusso, negli onori e nel benessere. Pieno di decorazioni: Legion d’Onore, Accademico d’Italia, Cavaliere dell’Ordine delle Due Sicilie, e con una pensione di mille franchi.

Si trova faccia a faccia con il risentimento del re spodestato (tutto sommato abbastanza blando), quando i Borboni ritornano il 9 giugno 1815.

Ma questo disagio non dura nemmeno un anno. Vedovo, senza decorazioni, ma con una comoda situazione economica, muore il 5 giugno 1816.

Gli fanno un funerale con tutti gli onori e lascia in eredità, oltre a un gran mucchio di composizioni strumentali, ben 94 opere traboccanti di melodie una più fresca dell’altra.

Riesce anche a firmare, prima di andarsene, “Viva Ferdinando Re”, inno nazionale (anche se per poco tempo) del Regno delle Due Sicilie.

 

 

 

 

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