N° 614 - Microbiografie Irrispettose - Gustav Mahler 1860 - 1911

Gustav apre gli occhi in una affollata covata di ragazzini, figli di un cocchiere ebreo il quale, pochi mesi dopo la sua nascita, cambia mestiere e apre una distilleria.

I genitori litigano spesso, alcuni dei fratellini gli muoiono accanto e il locale di papà è frequentata dai minatori della zona, gente dalle ebbrezze funeree. Ecco il terreno su cui comincia a formarsi il carattere non proprio allegro del ragazzo.

Con la musica attacca subito. Data la durata media della vita a quei tempi, o i geni cominciavano prestissimo o non facevano in tempo a combinare niente.

A diciott’anni è diplomato, a venti parte la sua fenomenale carriera di direttore d’orchestra coronata da straordinari risultati nella valorizzazione del repertorio, da vette di perfezione delle orchestre che prepara, ma anche da continue, colleriche turbolenze direttoriali.

A questo proposito c’è da tenere presente la scarsa preparazione tecnica delle formazioni dell’epoca e l’imperfezione meccanica degli strumenti, tanto è vero che composizioni oggi perfettamente accettate, allora erano considerate ineseguibili. Quindi un direttore esigente com’era certo Mahler doveva essere subito dai suoi orchestrali come un implacabile rompiscatole.

 

Il suo percorso di compositore, invece, richiede più tempo; stenta parecchio all’inizio, non certo favorito da Brahms, dio della Vienna di quel tempo, che lo ha in antipatia; e arriva al livello di apprezzamento che merita solo verso fine corsa, con una botta di popolarità postuma grazie all’adagetto della sua quinta sinfonia inserito in “Morte a Venezia” di Visconti.

 

Pochi i numeri delle sue opere, ma ipertrofiche le dimensioni e le durate (in questo prende dal suo maestro Bruckner). Alcune delle sue sinfonie hanno soprannomi che ne richiamano il gigantismo: “Il Titano” “La Sinfonia dei Mille” e tutte richiedono un organico di minimo centoventi strumentisti più centinaia di coristi. E non durano mai meno di un’ora. 

Costipato dai suoi trionfi come direttore d’orchestra, ruba il tempo per comporre durante le vacanze in Carinzia. Ha talmente bisogno di concentrazione che si fa costruire una capanna nel bosco (senza gabinetto, aggiunge il biografo, chissà perché questa precisazione), dove si rinchiude con il suo pianoforte e lì effettivamente riesce a lavorare in solitudine silvestre, come un Grande Puffo della Musica.

 

Anche nella sua vita, come in tante altre in quel periodo e da quelle parti, arriva l’incontro con l’antisemitismo. Se vuole occupare la più prestigiosa carica di tutto l’Impero Austroungarico, la direzione dell’Opera di Corte, lui ebreo deve convertirsi perché, per legge, il Direttore ha da essere cattolico (sorprendente, nella civilissima Austria).

E Mahler si converte, per opportunismo diranno i suoi nemici; per buon senso gli amici. Non si confesserà né andrà mai in chiesa se non per sposarsi, e se fosse stato saggio avrebbe saltato anche questo passaggio.

 

Invece nel 1902, sposa Alma Schindler e cominciano i guai. Gustav, grandissimo musicista, come uomo non è all’altezza di questa signora di vent’anni più giovane, che è una instancabile seduttrice e ancora di più una collezionista di grandi cervelli e nomi famosi.

Non è una sciocca falena, attenzione; è una leggenda vivente che lei stessa ha creato e continuamente rinnova. Compone musica e Mahler tenta di proibirglielo; discute con Thomas Mann che le risponde per le rime; provoca Gustav Klimt il quale le fa un ritratto; ispira Alban Berg e lui le dedica un concerto. Poi ci sono anche quelli che la odiano, come lo scrittore Canetti.

Un bel giorno lei, ancora sposata con lui, si innamora di Walter Gropius, un famoso architetto dell’ambiente viennese, quell’ambiente che è diventato il faro dell’Europa intellettuale, artistica e musicale anche per merito dello stesso Mahler. Dopo Gropius toccherà al famoso pittore Kokoshka, poi al famoso scrittore Werfel e poi a parecchi altri, naturalmente tutti famosi anche loro.

È allora, nel 1910, che il povero Mahler, pluritradito, si rivolge per aiuto a un altro viennese famoso, Sigmund Freud, il quale, dopo un colloquio di quattro ore con lui, scrive: “Nessuna luce illuminò i sintomi della sua nevrosi ossessiva. Era come scavare con un bastoncino in un edificio misterioso”. Anche se si fosse accesa, quella luce non avrebbe fatto in tempo a illuminarlo: un anno dopo muore.

Da tempo si porta dentro un’endocardite maligna che prima di ucciderlo gli rovina gli ultimi anni, rallegrati, è vero, dal trionfo in USA come direttore e dal riconoscimento universale come compositore, ma mortificati da una routine da invalido e da cure faticose e inutili, mentre tenta di finire la sua Decima sinfonia.

 

La Decima? Cosa combina di sciocco questo genio superstizioso? Contro la minaccia della Sinfonia Numero Nove (l’ultima per molti suoi colleghi che dopo averla scritta sono morti), pensa di fare il furbo. Finita l’Ottava decide di passare direttamente alla Decima e incolla un abusivo Numero Nove su una sua composizione già pronta, “Das Lied von der Erde” che sinfonia non è.

 

Non funziona. Questi trucchi contro il destino non funzionano mai, si sa.

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