
Charles Ives è un uomo d’affari americano. Nasce a Danbury, nel Connecticut ed entra presto nel mondo delle assicurazioni sulla vita con una propria compagnia, la Ives & Myrick, con sede a New York, che gli permette di vivere agiatamente. Acquista fama e rispetto nel suo ambiente di lavoro con la pubblicazione del trattato: “L’Assicurazione sulla vita in relazione all’imposta di successione”.
Finché nel 1930, con un bel gruzzolo in tasca e dopo una serie di presunti “attacchi di cuore”, come li chiamavano in famiglia, anche se non si è mai saputo se fossero in realtà semplici palpitazioni di origine psicologica, decide di ritirarsi dagli affari e muore di un colpo apoplettico, questa volta vero, nel 1954.

Un assicuratore? Ci dev’essere un equivoco. Ricominciamo.
Charles Ives è un musicista americano, il primo compositore USA a raggiungere una vera noto-rietà internazionale. Ma attenzione, lui non ne sarà mai proprio del tutto consapevole perché questa notizia diventa pubblica solo dopo che è morto del famoso colpo apoplettico nel 1954.
Nasce a Danbury, nel Connecticut, figlio del direttore della banda locale, il quale lo avvia pre-sto allo studio della musica. A dodici anni suona il tamburo sotto la bacchetta di papà, l’anno dopo è organista nella chiesa battista poi va a studiare composizione a Yale; un percorso veloce.
Parentesi: giovane dai molti talenti, alcuni dei quali inaspettati, emerge come atleta della squa-dra di football americano di Yale, ed è così apprezzato dal suo allenatore da fargli dire: “E’ un vero peccato che perda tanto tempo a strimpellare la sua musica: potrebbe diventare un grande attaccan-te”.
Quasi subito (bisogna dire, incoraggiato da suo padre) si rende conto di essere istintivamente troppo all’avanguardia per andare d’accordo con l’impostazione musicale americana dell’epoca e al-lora decide di rinunciare a una dichiarata professione artistica e si butta in una doppia vita: pubblica come assicuratore, clandestina come musicista.
Naturalmente, visto che si nasconde, critici e potenziali ammiratori non si accorgono nemmeno della sua esistenza, mentre lui continua a comporre furiosamente (nei momenti liberi dall’assicurazione) musica sperimentale, poliritmica, politonale, difficile, neanche pubblicata, quindi non eseguita da nessuno.
D’altra parte detesta che definiscano le sue composizioni carine, quindi la solida impopolarità che lo circonda non gli sarà neanche tanto dispiaciuta. L’unico evento musicale di un certo rilievo della sua vita è l’esecuzione della sua terza sinfonia con la quale vince il premio Pulitzer, per metà diviso con un suo giovane ammiratore-allievo con la dedica: “I premi sono per i ragazzi e io ormai sono adulto”. In seguito diventa, sempre nel più assoluto anonimato e con i soldi dell’assicurazione, sostenitore e finanziatore di tanti altri compositori americani più giovani e bisognosi di lui.
Un bel giorno del 1927, racconta la moglie, Ives entra in salotto e dichiara con le lacrime agli occhi “Non riesco più a comporre, non mi piace più niente di quello che faccio”.
Hanno cercato di spiegare questo repentino mutismo musicale, ma non ci è riuscito nessuno. Si è arrivati solo a trovare un paragone con Sibelius, che soffrì dello stesso inaridimento del flusso creati-vo alla stessa età.
Molti e sempre più numerosi con il passare degli anni sono i suoi estimatori, a cominciare da Mahler che lo definisce “Un vero rivoluzionario della musica”, per passare a John Cage che ammira “la sua capacità di comprendere l’importanza in palcoscenico dell’inattività e del silenzio” e poi a Stravinskij e a Bernstein, che dirige la sua Seconda Sinfonia in un concerto alla radio ascoltato, co-me si usava all’epoca, nel tinello di casa dai coniugi Ives, stupiti dei caldi applausi del pubblico.
Perfino Frank Zappa dichiara Charles l’influenza dominante nel suo disco “Freak Out” del ’66. Phil Lesh, bassista dei Grateful Dead lo chiama il suo eroe musicale.
Ma il più entusiasta di tutti è Schoenberg. Poco dopo la sua morte, tre anni prima di quella di Ives, la vedova trova una sua dichiarazione scritta al tempo in cui insegnava a Los Angeles, che è un monumento alla sua integrità artistica: “In questo paese c’è un grand’uomo, un compositore, che ha risolto il problema di mantenere la propria autostima. Reagisce al disinteresse con il disprezzo. Non si sente obbligato a ricevere lodi o accettare critiche. Si chiama Charles Ives”.
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