
Bambini prodigio ce ne sono stati tanti nella storia della musica, ma come lui nessuno. Comincia con le lezioni di pianoforte dalla prozia Charlotte a due anni e già che c’è si mette anche a comporre. Naturalmente ha l’orecchio perfetto. A cinque anni accompagna al piano una sonata per violino di Beethoven (in pubblico, mica nel salotto di casa).
A dieci anni il primo concerto ufficiale alla Salle Pleyel: Mozart. Come bis propone una delle trentadue sonate di Beethoven che esegue a memoria. Successo clamoroso e la notizia della sua precocità fa il giro di Parigi e gli prepara il futuro.
A quattordici anni entra in conservatorio e concorre, come tutti gli altri studenti di musica francesi dell’epoca, al Prix de Rome, ma non riesce a vincerlo.
A sedici anni scrive la sua prima sinfonia. Nel ’53 pubblica la seconda, accolta dallo stupore e la meraviglia dei critici e dei colleghi. Berlioz, che poi diventerà suo buon amico, tira fuori un commento che rimarrà famoso: “Sa tutto, ma manca di inesperienza”.
Per campare fa l’organista in varie chiese di Parigi, fra cui la Madeleine con il suo grandioso organo, uno di quei monumentali strumenti, non solo musicali, che in quel periodo esaltano i francesi della Belle Epoque (la Tour Eiffel, i treni, i piroscafi, il vapore e, appunto, i grandi organi), su cui la sua leggendaria bravura incanta i fedeli e gli procura un “il più grande organista del mondo” da parte di Liszt.
Come se tutto questo non bastasse, Camille è un esperto di geologia, di archeologia, di botanica e di entomologia con particolare predilezione per le farfalle. Intrattiene corrispondenze scientifiche con studiosi di tutto il mondo scrivendo di acustica, scienze occulte, teatro dell’antica Roma e strumenti musicali. Fa conferenze sui miraggi e scruta le stelle con un telescopio da lui stesso progettato. Troppo!!!
Per tutta la vita coltiva senza nasconderli forti sentimenti verso i colleghi: ama svisceratamente Liszt e Fauré, mentre detesta cordialmente Franck, Massenet e Debussy. E’ fra i primi sostenitori di Wagner, il quale totalmente stupefatto nel vedergli eseguire a prima vista al piano le partiture del Lohengrin, del Tristano e Isotta e del Sigfrido lo dichiara “la più grande mente musicale dell’epoca”.
Come organista e pianista è considerato senza eguali per la sua bravura e per lo stile e l’eleganza con cui siede alla tastiera: immobile e austero mentre infila scale e passaggi morbidi e aristocraticamente acrobatici.
La sua figura l’abbiamo sempre intravista sul confine che separa i musicisti famosi da quelli noti solo agli specialisti. Tanto è vero che spesso è stato definito (dagli amici, eh, intendiamoci!) “Il più grande compositore di serie B” oppure “Il più grande musicista privo di genio”.
Nel 1886 scrive Il Carnevale degli Animali e, con la clamorosa mancanza di visione che talvolta caratterizza il giudizio di un’opera da parte del suo autore, ne proibisce l’esecuzione in pubblico perché, avendolo pensato e scritto per una serata di carnevale a casa di amici, lo ritiene quasi uno scherzo musicale che se circolasse potrebbe danneggiare la sua reputazione di compositore serio.
E invece è proprio un frammento di questo lavoro, “La morte del cigno”, che rimane inchiodato da allora nella memoria del pubblico: una melodia struggente per violoncello e pianoforte, una di quelle musiche che, come Ilbolerodiravel o Laprimaveradivivaldi identificano per tutti e senza possibilità di errore il suo creatore e lo condannano alla gloria eterna.
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